Giovanni, 90enne |
Giovanni, militare |
Non sono io ad essere "passed away", ho vent'anni di meno. Dubito, però, con gli acciacchi che mi ritrovo, di arrivare alla sua età; ho cominciato con patologie importanti troppo presto. Ma ci sono molti che hanno iniziato ad ammalarsi anche prima di me; quindi non mi devo lamentare. Racconto la storia dello zio Giovanni perché ha lavorato una vita intera per dare alla propria famiglia, ai fratelli e in parte anche ai nipoti un avvenire migliore e testimonianza di onestà e rispetto della legge. Ci sono persone che cercano di nascondere le loro umili origini, quasi se ne vergognino. Io invece ne vado fiero, come pure i miei zii e cugini, perché siamo riusciti a migliorare la nostra situazione economica, culturale e sociale rispetto alle condizioni di partenza. Sono fortunati coloro che il destino li ha fatti nascere da famiglie di buon livello sociale, economico e culturale, ma non li invidio. Per loro il cammino per inserirsi nella società è stato sicuramente meno faticoso del mio e di quello dei miei cugini, ma ho imparato che chi ha faticato e lottato per raggiungere certi traguardi sa apprezzare la vita meglio di chi è nato nella "bambagia". Chi s'accontenta gode!!
Ma
torniamo allo zio Giovanni, era l'ultimo fratello, ancora vivente, di
mio padre; con la sua morte gli anziani della famiglia Chioetto sono: il
sottoscritto, classe 1941, e mio cugino
Lino classe 1940, figlio dello zio Arcadio.
Chiesa del Prejon |
Mi sono recato di buon ora presso la chiesa del Prejon, una frazione del comune di Bagnoli di Sopra (mio paese natale) che
dista 37 km da Padova. Sono
lì nato 72 anni fa da due genitori onesti, Maria e Gino, grandi lavoratori,
ricchi di umanità, in possesso, non per colpa loro, della quinta elementare.
Mio padre la conseguì addirittura nel corso serale, c'era il 3+2 alle
elementari a quel tempo. Essendo il primogenito di 7 figli, cominciò a lavorare
giovanissimo dopo aver conseguito il triennio delle elementari, e quindi fu
costretto a prendere la licenza elementare al corso serale.
Anche da parte di mia madre il livello culturale, economico e sociale
non era dei migliori. Porto il nome del nonno materno, Giovanni
Battista, disperso nell’offensiva italiana di fine ottobre 1918 sul Piave. Sua
moglie, mia nonna Anna, rimase vedova con due figli di uno (mia mamma) e
tre anni (mio zio Bruno) da allevare. Mi raccontava che per vivere era
costretta a mietere tre campi di grano con la falce, del quarto portava a casa,
per sfamare i suoi due figli, un terzo del raccolto. Queste donne, se c'è un
Paradiso, meritano i posti migliori.
Ma ritorniamo al funerale. Il Prejon è una
frazione con circa 100 abitanti a 6 km da
Bagnoli di Sopra, sperduta in mezzo a canali e nelle vicinanze del canale Gorzone e
del fiume Adige. Il viaggio è stato avventuroso a causa della nebbia e del manto stradale
ghiacciato. A dire il vero mio zio Giovanni con la moglie Stefania di 86 anni, ricoverata
da poco presso una casa di riposo per problemi
senili, abitavano nella località Beolo, vicino al Prejon, appartenete alla frazione di Borgoforte
del comune di Anguillara Veneta. Borgoforte era un villaggio avamposto tra il territorio di Padova e la
Repubblica di Venezia, per cui i nobili padovani avrebbero sentito la necessità
di costruire sul luogo una fortezza per difendere i propri confini. Da qui la
derivazione del nome "Cessum cum burgo forte", a significare che il
villaggio Cessum era munito di un borgo fortificato.
I nonni paterni, Andrea e Anastasia, quando si sposarono andarono ad
abitare in questa casa. Nonna Anastasia mi raccontava di essersi sposata quando
si accorse di essere incinta di mio padre e di aver trascorso il primo giorno
di nozze a scacciare le bisce d’acqua che avevano invaso la casa di canne a
seguito della tracimazione del canale Gorzone. Nonno Andrea aveva combattuto durante la prima guerra
mondiale, fatto prigioniero e internato in un campo di concentramento in Ungheria,
ritornò in condizioni pietose per la denutrizione, pesava trenta chili. Non
sapendo che avrebbe dovuto riprendere a mangiare con calma e poco alla volta,
ha rischiato di morire. Nonno Andrea lavorava, tornato dalla guerra, alla
idrovora della zona. Erano delle pompe che regolavano il flusso delle acque dei
molti canali che furono scavati per prosciugare gli acquitrini della zona.
Nonna Anastasia ha messo al mondo 5 maschi (Gino, Arcadio, Giovanni e Antonio e Giuseppe morto a 20 anni,
e due femmine Santa e Angelina. Ne avrebbe partorito altri se non le avessero
tolto l'utero all'Ospedale di Conselve. Mi racconta mio padre che a quei tempi
non esisteva il SSN e gli interventi dovevano essere pagati, vendettero il
maiale per retribuire il chirurgo.
Nella casa paterna del Beolo, con le pareti e il tetto di
canne e i pavimenti in terrà battuta (un cason), erano rimasti lo zio Arcadio che nel
frattempo si era sposato, lo zio Giovanni, lo zio Antonio e i nonni. Mio padre, Gino, si era nel frattempo sposato, andando ad abitare a Bagnoli. Merita ricordare anche la storia di mio cugino Lino, perchè s'intreccia con quella dello zio Giovanni. Quando Dirce,
la moglie dello zio Arcadio mori 70 anni fa all'ospedale di Conselve nel
mettere al mondo la figlia Gabriella, i tre figli, bell'esempio di solidarietà vennero divisi: Silvio il più
anziano rimase con il padre, Lino venne allevato dai nonni paterni, mentre
Gabriella venne affidata ai nonni materni che abitavano a Varese. Esiste un altro Giovanni, è il figlio di mio cugino Fiorenzo. Per poter restituire
i soldi che mio padre aveva loro imprestato per acquistare due campi di terra e
per sistemare la casa, da canne in muratura, gli zii Giovanni e Antonio sono
stati costretti ad andare a lavorare in Francia a "sciaresare" (diradare le piantine) e raccogliere
le barbabietole. Restavano in Francia 40 giorni per "sciaresare" le barbabietole,
poi tornavano a casa e ritornavano ad ottobre per altri 40 giorni per la raccolta.
Per leggere un breve resoconto della campagna delle barbabietole in Francia, clicca qui. Mentre lo zio Giovanni è andato in Francia una sola stagione, era sposato con figli, lo zio Antonio, scapolo, c'è andato per 12 anni, mi racconta il cugino Lino. Lino, classe 1940, abitava nella stessa casa di nonno Andrea e a vent'anni si è recato pure lui in Francia (si diventava maggiorenni a ventun'anni),
un anno per la campagna delle barbabietole e dei piselli e quattro anni come
muratore a Parigi.
Attuale ponte sul canale Rovega |
Mentre mi recavo al
Prejon sono andato con i ricordi alla mia infanzia quando con la biciclettina,
che mio cugino Lino afferma essere stata sua, andavo a trovare i nonni. Nonno Andrea,
terminato il lavoro alla idrovora, coltivava assieme ai figli Giovanni e
Antonio e al nipote Lino, per conto di proprietari terrieri della zona,
cocomeri (angurie) e meloni. Quando andavo a trovarlo con dieci lire mi dava
due angurie che mettevo a cavalcioni della bici e le portavo a casa.
Come ho detto i nonni e gli zii Giovanni e Antonio abitavano in località Beolo e per arrivarci
dovevo attraversare il canale Rovega (su questo canale io e molti miei coetanei
abbiamo imparato a nuotare) su una passerella fatta con due travi e con delle
tavole inchiodate di traverso, un po' sconnesse, senza parapetti. Quindi se non infilavi
dritto la passerella finivi nel canale. Mio padre mi raccontava che alla sera,
di ritorno dall'osteria, forse perché un po' brilli, qualcuno ci finiva dentro.
Ma nessuno annegava, perché tutti sapevano nuotare. Nella foto il ponte
costruito al posto della passerella, c'ero anch'io all'inaugurazione.
Sandro sulla "carioca" |
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