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mercoledì 26 febbraio 2014

Parte il corso l'Arte di assistere a domicilio gli anziani



Locandina del corso
Sono quasi terminate le iscrizioni al corso "L'arte di assistere a domicilio gli anziani", 8ª edizione 2014.
Il corso comincerà Sabato 1° marzo, alle ore 9.00, con l'inaugurazione e le prime due relazioni. Il Corso, articolato in 12 incontri, inizierà, come detto, il 1° marzo 2014 e terminerà il 7 giugno 2014. Le lezioni si terranno il sabato mattina, dalle ore 9.00 alle ore 12.30, presso l'Aula "Vesalio" - Policlinico Universitario Via Giustiniani n. 2 - Padova (vedi mappa). 
Scopi del Corso:  Il Corso si propone di formare gratuitamente il personale, che lavora a domicilio e/o in ospedale, nella cura dei pazienti anziani. Il corso è diretto a tutte le persone interessate, italiane e straniere, comunitarie ed extracomunitarie. Durante il Corso verranno forniti semplici principi teorici ed evidenze pratiche di Medicina ed Infermieristica, Dietetica, Psicologia, Cultura e Cucina locale, Assistenza Sociale, Trattamento delle Emergenze,  ecc. che possano orientare la cura degli anziani a domicilio.

Le relazioni del 1° incontro sono le seguenti:
  1. Medicina dell’invecchiamento. Declino funzionale e motorio a cura del geriatra della Clinica Geriatrica, MD Valter Giantin (per vedere le slide dello scorso anno, clicca qui;
  2. Il malato anziano e la sua psicologia. Psicologia del Caregiver  a cura della psiconcologa dott.ssa Elisabetta Valentini 
La seconda relazione non sarà tenuta dalla dott. ssa Valentini, ma dal M.D. Alberto Pilotto, direttore della Geriatria del Sant'Antonio, che anticipa la relazione del 22 marzo dal titolo: I principali disturbi gastro-intestinali nell'anziano. Per vedere le slide dello scorso anno, clicca qui.

martedì 25 febbraio 2014

Meeting presentazione progetto MPI_AGE



Slide del dott. A. Pilotto
Ho ricevuto via mail, in qualità di vicepresidente dell'Associazione IASI-Pronto Anziano, l'invito da parte del direttore generale dell'ULSS 16 dott. Urbano Brazzale di partecipare al Meeting di presentazione del progetto europeo MPI_AGE Using Multidimensional Prognostic Indices (MPI) to improve the cost-effectiveness of interventions in frail multimorbid older persons, che coinvolge 28 centri tra Europa, Stati Uniti e Australia.
Il progetto, di cui è responsabile il dott. Alberto Pilotto, direttore della Geriatria dell'Ospedale Sant'Antonio, si pone l'obiettivo di implementare innovative strategie per una assistenza e una cura appropriate dell'anziano fragile affetto da multi-morbidità.

Il Meeting si svolgerà giovedì 6 marzo dalle ore 9.00 alle ore 13.00 presso l'Auditorium della Banca Antonveneta, piazzetta  F. Turati, 2.

Per vedere il programma del Meeting, clicca qui.
Nel sito dell'ULSS 16 trovo queste informazioni sul progetto.
INDICE PROGNOSTICO MULTIDIMENSIONALE MPI
L'indice MPI è un indice prognostico di mortalità a breve (1 mese) e lungo-termine (1 anno) basato su informazioni ottenute da una Valutazione Multidimensionale (VMD) del soggetto anziano.
Maggiori informazioni
INDICE PROGNOSTICO MULTIDIMENSIONALE “MPI-SVAMA”
L'indice MPI-SVAMA è un indice prognostico di mortalità a breve (1 mese) e lungo-termine (1 anno) basato su informazioni contenute nella scheda SVAMA (Scheda per la Valutazione Multidimensionale delle persone adulte e Anziane).
Maggiori informazioni

lunedì 24 febbraio 2014

Gavino Maciocco: "The patient revolution" - "Niente che mi riguarda può essere fatto senza di me”



Dopo il post dedicato all'articolo del BMJ di maggio, dal titolo " Let the patient revolution begin" (Che la rivoluzione del paziente abbia inizio), trovo nel blog  "Saluteinternazionale.info" un articolo interessante di Gavino Maciocco, che copio e incollo, dal titolo: "The patient revolution", inserito da Redazione SI il 24 giugno 2013.
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Gavino Maciocco  è docente di Politica sanitaria presso il Dipartimento di Sanità Pubblica dell’Università di Firenze, è promotore e coordinatore del sito web Saluteinternazionale.info. E’ direttore della rivista quadrimestrale Salute e Sviluppo (dell’ong Medici con l’Africa, Cuamm) e membro del Comitato Scientifico della rivista Prospettive Sociali e Sanitarie. Esperto di politiche sanitarie e salute globale, ha volto varie attività nel campo medico, dal chirurgo al medico di famiglia, dal dirigente di ASL fino alla attuale posizione di docente universitario. È autore e coautore di numerose pubblicazioni, tra cui: Politica, salute e sistemi sanitari, Le sfide della sanità americana (Pensiero Scientifico), Igiene e Sanità Pubblica, Manuale per le Professioni Sanitarie, nuova edizione nel 2011 (Carocci Faber). 
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Ecco l'articolo. "Tradurre nella pratica quotidiana dei servizi sanitari concetti come Patient-centered care, Patient empowerment, Expert patient non è semplice perché richiede un cambiamento di paradigma rispetto al modo in cui la medicina è tradizionalmente praticata e i cambiamenti di paradigma trovano sempre una resistenza sia negli operatori sanitari che negli stessi pazienti. Ma la strada è aperta ed è impossibile tornare indietro.

La rivoluzione prende le mosse da un seminario di 5 cinque giorni tenutosi nel 1998 a Salzburg (Austria) dal titolo “Through the Patient’s Eyes” (Attraverso gli occhi del paziente). 64 partecipanti provenienti da 29 paesi (dagli USA alla Cina, dal Sudafrica alla Romania) e espressione di mondi diversissimi: operatori sanitari, giornalisti, attivisti di diritti umani, accademici, insegnanti,  gruppi di auto-aiuto,  filantropi, artisti, esperti di diritto, autori di romanzi. Nel 2001 esce un paper che riassume le posizioni emerse da quello storico incontro. Una filosofia disegnata con le poche ma sferzanti parole del titolo: “Healthcare in a land called PeoplePower: nothing about me without me”[1]. (Vedi Risorse).

Nella mitica terra chiamata PeoplePower, l’assistenza è interamente condivisa con i pazienti perché “niente che mi riguarda può essere fatto senza di me”.  Dall’uso delle informazioni personali alla definizione della qualità dei servizi. A questo riguardo pazienti e clinici sviluppano “contratti di qualità” individuali  che servono come base per sistemi che misurano la qualità e il miglioramento dei servizi, riflettendo informazioni individuali condivise da medici e pazienti. I pazienti quindi forniscono a banche dati nazionali informazioni di processo e di esito per alimentare ricerche epidemiologiche e  sistemi di miglioramento della qualità evidence-based. Ma nella terra chiamata PeoplePower avvengono anche altre cose mirabolanti: i medici di famiglia non sono “Gatekeepers” (Guardiani del cancello), ma “Gateopeners”, coloro  cioè che il cancello delle cure lo aprono, individuando percorsi assistenziali condivisi, sulla base dei bisogni e delle preferenze dei pazienti.

Il più noto e illustre interprete dell’approccio “Patient-Centered” è stato Donald M. Berwick, autodefinitosi da questo punto di vista un “estremista”[2].  Tra le Risorse abbiamo allegato il racconto di una sua storia, tanto intima quanto politica, emozionante e commovente[3].

Sono figli di questa riflessione originaria altri concetti, quasi identici, che si sono successivamente affermati: quelli di “Patient empowerment” (made in USA) e di “Expert patient” (made in UK), principalmente applicati alla gestione delle malattie croniche.

Un’osservazione spesso fatta da medici, infermieri e altri operatori sanitari che seguono per lungo tempo pazienti con malattie croniche come diabete mellito, artrite o epilessia è “il mio paziente conosce la sua malattia meglio di me”. La conoscenza e l’esperienza fatta dai pazienti sulla loro malattia è una risorsa troppo a lungo non sfruttata. È qualcosa che potrebbe essere di grande beneficio per la qualità dell’assistenza ai pazienti e in definitiva per la loro qualità della vita, ma che è stata troppo ignorata nel passato. (da “Expert Patient”, 2001[4]).

Molto più di recente sul BMJ si legge: L’unica possibilità di migliorare l’assistenza sanitaria è rappresentata da una partnership tra clinici e pazienti, perché questi ultimi, meglio dei clinici, comprendono la realtà delle loro condizioni, l’impatto che la malattia e il suo trattamento hanno sulla loro vita e come i servizi potrebbero essere meglio progettati per aiutarli [5].

Kate Lorig,  della Stanford University, ha avuto il merito di elaborare, sperimentare (valutandone l’efficacia) e di diffondere in mezzo mondo uno strumento per lo sviluppo dell’empowerment del paziente, “un processo che aiuta le persone ad acquisire controllo, attraverso l’iniziativa, la risoluzione di problemi, l’assunzione di decisioni, che può essere applicato in vari contesti nell’assistenza sanitaria e sociale”[6].

Il suo programma per l’autogestione delle Malattie Croniche (Chronic Disease Self Management Program o CDSMP) si basa sull’assunzione che la maggior parte dei problemi che i malati cronici devono affrontare sono simili, indipendentemente dalla patologia da cui sono affetti. “L’autogestione aiuta i pazienti a mantenere la salute nella loro prospettiva psicologica. Questo si ottiene concentrandosi su tre compiti […]: il primo riguarda la gestione medica, […] il secondo riguarda il miglioramento o il cambiamento di comportamenti[…] L’ultimo compito richiede di gestire le sequele emozionali legate alla malattia cronica[…]”. Vedi post Nothing about me without me .

Tradurre nella pratica quotidiana dei servizi sanitari concetti come Patient-centered care, Patient empowerment, Expert patient non è semplice perché richiede un cambiamento di paradigma rispetto al modo in cui la medicina è tradizionalmente praticata (Tabella 1) e i cambiamenti di paradigma trovano sempre una resistenza sia negli operatori sanitari sia negli stessi pazienti.

Tabella 1. Cambiamento di paradigma: dalla sanità di attesa alla sanità d’iniziativa.
Sanità d’attesa
Sanità d’iniziativa
Centrata sulla malattia
Centrata sulla persona
Basata sull’ospedale e sulle attività specialistiche
Basata sulle cure primarie
Focus sugli individui
Focus sui bisogni della comunità
Reattiva, guidata dai sintomi
Proattiva, pianificata
Focalizzata sulla terapia
Focalizzata sulla prevenzione
Fonte: Pan American Health Organization, Innovative care for chronic conditions, WHO, 2013

Tuttavia la strada è aperta. Il Chronic Care Model ha dimostrato di essere un modello di cura altamente efficace nella gestione e nel controllo delle malattie croniche[7]. Un modello che fa delle risorse della comunità e dell’empowerment dei pazienti i punti centrali della sua azione (vedi anche Assistere le persone con condizioni croniche). Un modello ormai ampiamente diffuso e sperimentato, come dimostra un recentissimo documento della Pan American Health Organization (vedi l’articolo).

I due post che alleghiamo a questa Newsletter ci aiutano a capire la portata del cambiamento necessario, anche in termini di sostenibilità del sistema sanitario.
1.       Il post di Vernero indica che la partecipazione dei pazienti e dei cittadini alle scelte in campo medico non significa – non può e non deve significare – un aumento incontrollato dei consumi, bensì una strada per scegliere più saggiamente (Choosing Wisely), perché Fare di più non significa fare meglio.
2.       Il post di Perria, commentando un fondamentale articolo di Barbara Starfield, segnala che la multimorbosità è un fenomeno in aumento, così come in aumento è il ricorso alle cure specialistiche e, conseguentemente, i costi ad esse collegati. Le cure specialistiche sono per definizione esposte al rischio di inappropriatezza per frammentazione dei percorsi dovuta ai diversi specialisti che spesso sono coinvolti, inclusa la duplicazione di esami e procedure in relazione ai pareri clinici, spesso non coincidenti, a volte addirittura contrastanti. Potenziare le cure primarie significa garantire adeguati livelli di assistenza e una sostanziale continuità delle cure, secondo logiche di spesa che comportano costi sostenibili, di gran lunga inferiori a quelli che sarebbero necessari se ciascun disturbo fosse trattato dal singolo esperto.
Mettere al centro il paziente più che la malattia favorisce anche il rispetto all’equità, perché mira a valutare, e potenzialmente a soddisfare, l’effettivo bisogno che scaturisce dallo stato complessivo di malattia che caratterizza quel determinato paziente, con il suo profilo umano e sociale.

Risorse
1.       Delbanco T, Berwick DM, Boufford JI, et al. Healthcare in a land called PeoplePower: nothing about me without me [PDF: 657 Kb]. Health Expect 2001;4(3):144-50.
2.       Donald M. Berwick. Escape Fire. Lessons for the future of health care [PDF: 428 Kb]. Commonwealth Fund, 2002.
Bibliografia
1.       Delbanco T, Berwick DM, Boufford JI, et al. Healthcare in a land called PeoplePower: nothing about me without me. Health Expect 2001;4(3):144-50.
2.       Donald M. Berwick What ‘Patient-Centered’ Should Mean: Confessions Of An Extremist Health Affairs, 28, no.4 (2009):w555-w565
3.       Donald M. Berwick. Escape Fire. Lessons for the future of health care. Commonwealth Fund, 2002.
4.       Department of Health. The Expert Patient: A New Approach to Chronic Disease Management for the 21st Century, London, Stationery Office, 2001
5.       Richards T, Montori VM, Godlee F, Lapsley P, Paul D. Let the patient revolution begin. BMJ 2013;346:f2614
6.       People with chronic disease should be encouraged to manage their care. BMJ 2012;344:e2771 doi: 10.1136/bmj.e2771
7.       Ham C. The ten characteristics of the high-performing chronic care system. Health Econ Policy Law 2010; 5(Pt 1):71-90.

domenica 23 febbraio 2014

Progetto: "Community Care per un Caregiver di Comunità"

Segnalo il Corso di Formazione che prende avvio sabato 1 marzo p.v all'interno del Progetto "Community Care per un Caregiver di Comunità" e il programma del Convegno del 6 marzo p.v. dal titolo "Community Care per l'anziano fragile: una comunità che si prende cura".
Non va confuso con il corso "L'Arte di assistere a domicilio gli anziani" organizzato dalla Clinica Geriatrica che inizierà  sabato 1° marzo presso l'Aula Vesalio del Policnico.
L’iniziativa, aperta a tutta la cittadinanza, si propone di divulgare il concetto e le buone prassi relative alla Comunità che cura. Padova si distingue infatti per una forte spinta propulsiva da parte delle Istituzioni - Comune, ULSS 16, Azienda Ospedaliera di Padova e Centro Servizi per il Volontariato - nella costruzione di una “Community Care”. Tali soggetti insieme con il Privato Sociale, i Centri Diurni e i Centri Servizi hanno recentemente intrapreso un percorso condiviso per "fare sistema” e per potenziare l’efficacia delle loro singole esperienze. Questa collaborazione è culminata nella condivisione dell'innovativo progetto denominato “Progetto di Community Care per un Caregiver di Comunità”, che si propone di costruire a livello di Padova e Provincia una rete fitta di persone in grado di “garantire” singoli e/o famiglie con anziani fragili (le cosiddette “guide di comunità” per gli anglosassoni).
SEGRETERIA ORGANIZZATIVA
Ufficio Relazioni con il Pubblico
Azienda Ulss 16 di Padova - Azienda Ospedaliera di Padova
urp@sanita.padova.it
www.sanita.padova.it
Per informazioni e iscrizioni: tel. 049 8213144
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Cerco di spiegare, con l'aiuto del veb, alcune affermazioni e lemmi contenuti nelle brochure; delle quattro parole del titolo del Progetto tre sono in inglese. Molti si lamentano che nel sociale, come anche in altri settori, c'è un eccesso di termini inglesi che rendono poco compresensibile il testo e quindi la comunicazione. Copio e incollo alcune definizioni dal pdf di Luciana Ridolfi dal titolo "Il Community care quale possibile modello di integrazione socio-sanitaria a livello territoriale"). 
"Il concetto di Community care può essere quindi inteso come “assistenza nella comunità”, “cura di comunità” od anche “presa in carico della comunità da parte della stessa comunità”: essa contempla forme di assistenza e di supporto erogate tanto nella comunità, quanto dalla stessa comunità che vengono attivate per opera sia di professionisti pubblici, privati, volontari, care-giver informali (parenti, amici, vicinato…)."
"Il concetto di Community care è dunque un’immagine molto articolata e complessa: la letteratura ne effettua una triplice ripartizione e, precisamente, parla di self-care (auto-cura), di home o family care (cura a domicilio o in famiglia) e di community care in senso stretto (auto-mutuo soccorso)."
"Care-giving: insieme di processi assistenziali forniti ad un soggetto che ha bisogno di cure. I care-givers sono coloro che prestano aiuto in modalità formale (a livello istituzionale) o in modalità informale (a livello familiare o amicale)."
"Dal punto di vista sociale si assiste sia ad incremento delle persone fragili e deboli nella gestione della propria vita, sia ad un restringimento delle persone in grado di assicurare l’assistenza. Molte ricerche hanno evidenziato, come l’attività dei care-givers, proprio per l’appesantimento emotivo e pratico che comporta, può non essere alla portata di tutti e costringe il care-giver a mettere in atto delle tecniche per sopravvivere."
"Il gatekeeper è colui che attua l’azione di gatekeeping (lett.“custodia del cancello”). Occupa la posizione di “esperto” (politico, scienziato, sociologo) in un determinato ambito della società e ha il compito di filtrare le informazioni in quello specifico ambito. Agisce in diversi modi: inconsciamente, poiché anche egli può essere condizionato da informazioni, o consciamente per scopo personale. La donna di casa è gatekeeper, perché decide cosa comparirà sulla tavola e cosa mangeranno marito e figli. Ogni processo sociale è segnato da gatekeepers: si può dire che il controllo sociale, più che da vincoli posti dalle autorità, dipende dal lavoro di gatekeepers che agiscono all’interno del processo."
"Advocacy significa farsi promotore e patrocinare attivamente la causa di qualcun altro. Nel campo della salute, l’advocacy consiste nell’uso strategico di informazioni e altre risorse (economiche, politiche, ecc.) per modificare decisioni politiche e comportamenti collettivi ed individuali allo scopo di migliorare la salute di singoli o comunità."