Approfitto di questo post per pubblicare il 1° rendiconto della nostra associazione (anno 2012). Come potete vedere le entrate striminzite sono dovute
esclusivamente alla quote dei soci e dei volontari (260 €). Per aver aperto un
conto corrente bancario e non essendo ancora una onlus, abbiamo dovuto pagare, per un anno, circa 90 €
di bollo (soldi incamerati dallo Stato) e circa 34€ di spese bancarie (soldi trattenuti dalla Banca). Una parte di questi oneri li abbiamo pagati nel 2013. Non è una "truffa" legalizzata? Abbiamo quindi deciso di chiuderlo!
La
trasparenza delle organizzazioni non profit lascia spesso a desiderare ed è raro
trovare nei loro siti la pubblicazione di un bilancio compresibile.
Per guardare in casa degli altri, bisogna prima guardare nella nostra!
Diceva qualcuno duemila anni fa: "Perchè guardi la pagliuzza che è
nell'occhio del tuo fratello e non ti accorgi della trave che è nel tuo
occhio?" (Luca 6,41).
Questo
post vuole mettere in guardia le persone che offrono denaro con intenti
caritatevoli a chiedersi se le loro offerte vadano a buon fine e a farsi rilasciare una ricevuta. Le pareti dell'Azienda Ospedaliera di Padova sono tapezzate di manifestini che avvisano i pazienti che la Direzione non ha incaricato nessuno a raccogliere fondi per l'Ospedale. Donare è bello, è segno di generosità, altruismo e solidarietà ma bisogna anche controllare a chi si dona. Siamo nell'anno europeo del cittadino attivo.
Leggete questo articolo apparso su Repubblica.it del 14
luglio 2013 dal titolo: Furti, truffe e sprechi il lato oscuro del
non profit dove prospera il malaffare. Ma non è
giusto fare di tutta l'erba un fascio, il volontariato è molto attivo nel
Veneto e migliaia di persone dedicano il loro tempo e il loro denaro per scopi
umanitari, ma è necessario vigilare perchè se ne faccia un uso corretto.
L'articolo inizia così: Ha suscitato un vasto dibattito
in Gran Bretagna la decisione della rivista Third Sector di pubblicare gli
stipendi dei manager delle più importanti associazioni non profit del paese (la
lista completa è scaricabile in allegato). Scorrendo i dati si è scoperto
infatti che i dirigenti britannici delle charities non se la passano affatto
male, raggiungendo in alcuni casi (ma anche superando) i 350mila euro annui
(300 mila sterline circa). Nessuna delle prime 150 associazioni per ricavi, che
Third Sector ha interpellato, corrisponde uno stipendio annuo inferiore a
100mila sterline (117mila euro) al
proprio direttore o presidente. (…)
Dopo la pubblicazione in Gran Bretagna degli stipendi
stellari di alcuni presidenti di charities, dagli USA ecco la classifica dei 10
manager di enti non profit più pagati. Londra impallidisce: qui si parla di
milioni di dollari...
Ma ecco la classifica dei manager non profit strapagati:
- Laurance Hoagland Jr. - William
and Flora Hewlett Foundation, 2,5 milioni di dollari
- John Seffrin - American Cancer
Society, 2,1 milioni
- Roxanne Spillett - Boys &
Girls Clubs of America, 1,8 milioni
- Reynold Levy - Lincoln Center
for the Performing Arts, 1,4 milioni
- Placido Domingo - Los Angeles
Opera, 1,35 milioni
- Michael Kaiser - JFK Center for
the Performing Arts, 1,348 milioni
- Peter
Gelb - Metropolitan Opera Association, 1,3 milioni
- Glenn Lowry - Museum of Modern
Art, 1,2 milioni
- James Williams - J. Paul
Getty Trust, 1,2 milioni
- Edwin Feulner Jr. - Heritage
Foundation, 1,1 milioni
"E
queste le chiamate charities?", ha tuonato sul suo blog il noto polemista
nonché collaboratore del Guardian Johnny Void. "Questi manager si
arricchiscono alle spalle dei poveri, e le loro associazioni pagano una miseria
i lavoratori disoccupati costretti a dare loro una mano per non perdere i
sussidi". Void si riferisce al contestato "workfare", ovvero
l'obbligo per i disoccupati in cerca di lavoro di prestare servizio
semi-volontario per le charities, pena la perdita degli aiuti statali.
Ecco un passo dell'intervista: "A me sembra che l’Italia del terzo settore somigli moltissimo
all’Italia del profit, con tutte le sue inefficienze, gli sprechi, le
contraddizioni, il familismo. Certo, se si guarda ad esempio alla politica
italiana, i peccati del non profit sono meno esasperati. Parliamo di persone
che si prestano, dando tempo e professionalità, per gli altri. Poi però restano
i soliti vizi. La gestione del personale
è simile al profit dal punto di vista del precariato, c’è una sacca di
precariato molto importante; abbiamo associazioni che si battono per i diritti
umani ma che non rispettano i diritti del lavoratore. All’estero i budget molto
sono molti alti per i top manager del non profit, da noi no. Questi estremi
mancano eppure, nel 2010, secondo un dossier realizzato dalla Siscos,
l’organismo che offre le coperture assicurative per gli operatori delle ong,
impegnati nelle missioni di cooperazione all’estero c’erano oltre 7000
operatori italiani, e la stragrande maggioranza, più di 6.000, con un contratto di collaborazione.
Per quanto riguarda le teste pensanti, i grandi manager, c’è poca trasparenza
sui guadagni ed è tabù parlare di soldi, al netto di chi, come i presidenti, lo
fa a titolo gratuito".