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martedì 29 ottobre 2013

L’amore, l’Alzheimer (e il tumore): le riflessioni del dottor Alberto Cester



Tutto ciò che serve...è l'amore..
Alfredo, presidente dell'Associazione "Un Abbraccio per l'Alzheimer" mi ha mandato questa mail:
Ciao Giovanni, eccomi di nuovo a te. Ho letto e riletto questa riflessione che ho ricevuto personalmente e mi  è venuto spontaneo inviartela. Stammi bene, Alfredo. Grazie Alfredo
L'articolo che Alfredo mi ha mandato, dal titolo:  L’amore, l’Alzheimer (e il tumore): le riflessioni del dottor Alberto Cester, è stato pubblicato sul Corriere della Sera.it, nella rubrica salute>Invisibili, il 21 ottobre 2013 a cura, di Michele Farina. Per vedere che cos'è il blog "Invisibili", clicca qui. Copio e incollo il testo dell'articolo:
Alberto Cester, 58 anni, direttore del Dipartimento di Geriatria con sede all’ospedale di Dolo (Venezia), autore di 9 libri tra cui “L’altro volto della demenza”, ha scritto per il Corriere questa riflessione sul tema dell’amore ai tempi dell’Alzheimer. Il rapporto di coppia, l’amore filiale, le differenze con altre patologie devastanti come il tumore, la possibile riappacificazione con la malattia…
“E’ certo che un’analisi sociologica dell’amore nelle sue mille sfaccettature, relazionali, fisiche, affettive, simboliche, financo introspettive traslato nel campo dei disturbi cognitivi collegati ai malati affetti da demenza è un atto di una certa protervia intellettuale, e forse meriterebbe ben più approfondite analisi.
Sino ad oggi abbiamo interpretato, compreso e pensato questa condizione non tanto in termini di amore, quanto di assistenza e sacrificio, di burn out e solitudine dei nuclei familiari e dei care giver che sono toccati da questa patologia.
La demenza è una patologia ormai trasversale alle età, che seppur più raramente, colpisce anche soggetti nella 4^ decade, fino alle età più estreme, quindi non si può non accennare al problema del riverbero di questa patologia su di un sentimento essenziale dell’esistere, quale è l’amore.
Sì l’amore è anche sacrificio, ma qui la faccenda assume contorni ad un certo punto assolutamente unilaterali: quando il malato o la malata iniziano a perdere totalmente il contatto con l’ambiente esterno e anche con i visi noti, cioè quando “tutto” è cancellato …, resta solo uno ad amare, non che in amore spesso non sia così, ma qui la perdita della consapevolezza dell’altro pone il problema in una condizione di estrema fragilità. Ben altra cosa è l’amore anche in altre patologie devastanti come il cancro, dove vi è una trasformazione anche dell’immagine corporea, ma integre, seppur devastate dall’attesa del dopo, restano in genere le relazioni, anche se più struggenti per la nuova e tragica condizione.
Diversa è la condizione filiale dell’assistere, un figlio ha doveri intrinsecamente collegati all’esistere nei confronti dei genitori malati; in questo senso ognuno risponderà alle proprie coscienze se delegare o assumersi il burden (peso) dell’assistenza.
Ma l’assistenza tra partner è più complicata, in amore nella demenza vengono minati i legami più profondi, i desideri, le complicità, le pulsioni, il malato cambia e deve essere accettato e riscoperto, nelle sue disinibizioni o nelle sue ritrosie, in un bagno di consapevolezza mirata al cosa sta succedendo, che spesso fa male e mina i rapporti … Frequenti sono le interpretazioni errate su gesti e comportamenti: < ecco lo fa per dispetto, non mi ascolta …, lo conosco in fondo è sempre stato così …> Il dilemma tra coniugi o compagni in cui uno dei due sia affetto da demenza è spesso: quanto dei loro comportamenti è verità e quanto e cosa siano malattia ? L’abbandono in amore è nemico della razionalità e quando la razionalità dell’assistere si impossessa di questi ambiti, anche l’amore si trasforma …
Qui la sensazione di amore unilaterale e di sacrificio da parte di chi assiste nei confronti di una persona che ci cambia di giorno in giorno tra le mani è spesso struggente, e non è solo il problema di accettare le nostre normali variazioni nel corpo del nostro amore che invecchia e che cambia e che può ovviamente trasformare i nostri desideri, non è quindi solo una questione di traslare le nostre aspettative fisiche e affettive, qui viene messa in discussione la relazione d’amore: verbale, emotiva, di pensiero. A fine malattia si deve arrivare ad amare il baccello dell’esistere del nostro partner, il contenitore che non esprime più il suo pensiero, la capacità di giudizio, i suoi modi, le sue abitudini, la sua fisicità.
La vera restituzione del corpo e dell’anima avviene solo nell’atto estremo della morte, che ci permette ancora una volta di piangere e ri-amare il nostro amore restituito alla normalità proprio nel morire, nel fine ultimo. Così spesso ci riappacifichiamo con la malattia …
 Questo è quanto ho imparato dai miei pazienti e amici dementi e dai loro cari …”

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