Trovo sul sito del Corriera della Sera.it del 9 febbraio 2012, nella rubrica Salute, questo articolo di Gian Antonio Stella sulla disabilità.
In Italia 2 milioni 800 mila di persone non autosufficienti. E tutto il carico ricade sulle spalle delle famiglie
MILANO - "Un pazzo costa allo Stato 4 marchi al giorno, uno storpio
5,50, un criminale 3,50...". Iniziava così un problema del manuale di
matematica nella Germania nazista del 1940: lo scolaro doveva calcolare,
senza quei pesi, quanto si poteva risparmiare. Alla larga dai paragoni
provocatori, ma che razza di Paese è quello che taglia i fondi ai
disabili? Ed è lecito che sfrutti fino in fondo, come denuncia il
Censis, le famiglie che si fanno carico giorno dopo giorno, spesso
eroicamente, dell'assistenza?
Pochi numeri, presi da un'inchiesta del Sole 24 Ore, dicono tutto.
Rispetto al Pil, l'Italia spende molto più della media dell'Europa a 15
per le pensioni (16,1% contro 11,7%), come gli altri nel totale del
welfare (26,5% contro 26%) ma nettamente meno per la non
autosufficienza: 1,6% contro 2,1%. Un quarto di meno. Non bastasse,
negli ultimi anni, nella scia della scoperta di casi come quello emerso
la settimana scorsa al rione Santa Lucia di Napoli (dove secondo il
Mattino 9 su 10 degli invalidi controllati erano falsi) l'accetta si è
abbattuta sui costi del pianeta della disabilità colpendo tutti. I furbi
ma più ancora i disabili veri, verso i quali lo Stato era già
storicamente molto tirchio.
Basti vedere, in un'analisi di Antonio Misiani, il taglio delle due voci
che più interessano l'handicap. Dal 2008 al 2013 il Fondo per le
politiche sociali precipita nelle tabelle del governo Berlusconi da
929,3 milioni di euro a 44,6. Quello per la non autosufficienza da 300 a
0: zero! Numeri che da soli confermano il giudizio durissimo del
Censis: "La disabilità è ancora una questione invisibile nell'agenda
istituzionale, mentre i problemi gravano drammaticamente sulle famiglie,
spesso lasciate sole nei compiti di cura". Peggio: "L'assistenza rimane
nella grande maggioranza dei casi un onere esclusivo della famiglia".
Scegliamo una storia esemplare, una fra centinaia di migliaia. Quella di
Gloriano e di sua moglie Mariagrazia. Lui fa l'elettricista, lei
lavorava in una fabbrica tessile finché, 28 anni fa, non fu costretta a
mollare per seguire Giulia. La piccola aveva dei problemi. Seri. "La
prima diagnosi fu emessa dopo quasi 4 anni (non per colpa nostra!..)
dalla nascita: Ritardo psicomotorio con deficit cognitivo in paralisi
cerebrale minima". Problemi che con il passare del tempo si sono sempre
più aggravati. Basti dire che, nonostante gli insegnanti di sostegno a
scuola, i progetti di recupero, l'assistenza minuto per minuto dei
genitori, non ha mai imparato a leggere e scrivere.
Fatto sta che al secondo accertamento sull'handicap, al 18° compleanno,
il responso fu netto: "Invalida con totale e permanente inabilità
lavorativa 100%". Tanto per capirci, spiega la madre, è del tutto non
autosufficiente. Ogni consulto, ogni cura, ogni tentativo d'arginare la
progressiva deriva della malattia sono stati inutili. Colpa di
un'anomalia, pare, "del cromosoma 16". Finché nel 2006 il degrado è
stato nuovamente verificato: "Insufficienza mentale medio-grave in
paraparesi spastica (neurologica e sensitiva assonale) cognitiva.
Scoliosi e invalidità al 100% con necessità di assistenza continua".
Un calvario. Una vita intera inchiodata minuto per minuto, giorno dopo
giorno, anno dopo anno a quella missione. Unici momenti di tregua,
indispensabili per respirare e non impazzire, quelli in cui Giulia, sia
pure sempre più a fatica, veniva affidata a strutture di assistenza tipo
le case famiglia: "Nostra figlia ha sempre desiderato sin da piccola di
stare coi bambini prima e poi man mano che cresceva con i ragazzi e
comunque in mezzo alla gente". Una soluzione che l'anno scorso aveva
permesso a Gloriano e Mariagrazia di fare perfino, evviva, una breve
vacanza.
Costava 27 euro al giorno, alla famiglia, l'accoglienza di Giulia in una
comunità-alloggio di Abano Terme: "Poi, prima di Natale, ci è stato
comunicato che il contributo familiare sarebbe salito a 92 euro e 68
centesimi, cioè la quota alberghiera totale". Troppi, per chi riceve
dallo Stato, per prendersi cura 24 ore su 24 di quella figlia totalmente
disabile, una pensione lorda mensile di 270,60 euro più l'indennità di
accompagnamento di 487,39 per un totale complessivo di 757 euro e 99
centesimi. I giornali locali ne hanno fatto un caso, giustamente, di
quelle cento o centoventi famiglie che di colpo si sono viste togliere
quel servizio che per molti rappresentava l'unica occasione per
"staccare" un po'. "Diventerà un servizio solo per chi potrà
permetterselo?", si è chiesto il settimanale diocesano "La difesa del
popolo".
Ma la storia della famiglia di Giulia va moltiplicata, come dicevamo,
per centinaia di migliaia. Dice la pagina "La disabilità in cifre"
dell'Istat che in Italia i disabili "sono 2 milioni 600 mila, pari al
4,8% circa della popolazione di 6 anni e più che vive in famiglia.
Considerando anche le 190.134 persone residenti nei presidi
socio-sanitari si giunge a una stima complessiva di poco meno di 2
milioni 800 mila persone". In primo luogo, ovvio, ricorda uno studio
della Caritas Ambrosiana, ci sono i vecchi: "Secondo un'indagine dello
Studio Gender, l'Italia spende meno della metà di quanto fanno in media
gli altri Paesi europei per l'assistenza agli anziani". Risultato: "la
cura dell'anziano non più autosufficiente ricade sulle famiglie. In due
casi su tre lasciate a loro stesse. In particolare sono le donne,
figlie, mogli, nuore, le indiscusse protagoniste del lavoro di cura".
Per i disabili più giovani, spiega al sito superabile.it Pietro
Barbieri, presidente della Fish, la Federazione italiana del sostegno
all'handicap, il quadro è lo stesso: "Da noi si spende meno della metà
della media europea a 15 per la non autosufficienza. E il dato comprende
sia l'indennità civile che l'assistenza domiciliare pagata dai Comuni.
Qui non si tratta di prendere provvedimenti più equi, qui si dice alle
famiglie "arrangiatevi!" E a quel punto sapete cosa accadrà? "Che le
famiglie cominceranno a chiedere il ricovero per un congiunto non
autosufficiente. E a quel punto avremo una maggiore segregazione di
persone che non hanno fatto nulla di male e un costo molto più alto per
il Paese. Si pensi al costo giornaliero di una degenza".
Facciamo due conti? Questi disabili non anziani, secondo la Fish,
sarebbero circa 400 mila. Se le famiglie, abbandonate a se stesse,
fossero obbligate a scaricare i figli e i fratelli sul groppone dello
Stato, questo sarebbe obbligato a costruire strutture per un costo
minimo (dall'acquisto del terreno alla costruzione fino all'arredamento)
di 130 mila euro a posto letto per un totale di 52 miliardi. Per poi
assumere, stando ai protocolli, almeno 280 mila infermieri, psicologi,
cuochi, inservienti per almeno altri 7 miliardi l'anno. Più tutto il
resto. Un peso enorme, del quale l'Italia di oggi non potrebbe
assolutamente farsi carico. E allora ti domandi: possibile che lo Stato
non si accorga di quanto si fanno carico al suo posto le famiglie? Lo
studio presentato ieri dalla Fondazione Cesare Serono e dal Censis, e
centrato sulle persone colpite dalla sclerosi multipla e dall'autismo,
dice che "il 48,5% dei malati ha bisogno di aiuto nella vita quotidiana.
Ma il dato oscilla dal 9,5% di chi si definisce lievemente o per nulla
disabile all'83% tra i malati più gravi". Bene: "Le risposte arrivano
quasi solo dalle famiglie. Il 38,1% dei malati riceve assistenza
informale tutti i giorni dai familiari conviventi (e la percentuale
aumenta tra chi riferisce livelli di disabilità più elevati: 62,8%).
L'aiuto quotidiano da parte di parenti non conviventi e amici è più raro
(8,1%)". E se è "minoritario il supporto offerto dal volontariato
(8,4%)" solamente "il 15,3% riceve aiuto da personale pubblico e solo il
3,3% tutti i giorni". Umiliante.
Tanto è vero che le famiglie, dignitosamente, non chiedono soldi,
nonostante si sobbarchino spese molto spesso insopportabili: chiedono
collaborazione. "L'assistenza domiciliare è ritenuta uno dei servizi più
utili dal 77,5% del campione e il 72,4 ne ritiene necessario il
potenziamento». Gli «aiuti economici e gli sgravi fiscali" vengono dopo.
Lo studio presentato ieri dice tutto: "La disabilità della persona con
autismo ha avuto un impatto negativo sulla vita lavorativa del 65,9%
delle famiglie coinvolte nello studio. In particolare, il 25,9% delle
madri ha dovuto lasciare il lavoro e il 23,4% lo ha dovuto ridurre". Uno
Stato serio, davanti a numeri così, se lo deve porre il problema.
Perché sarebbe inaccettabile scaricare ulteriori responsabilità e
fatiche e spese e angosce su quelle famiglie. Ci sono già state, come
ricordavamo, stagioni orribili in cui i disabili (si pensi a certi
manifesti tedeschi degli anni Trenta...) sono stati visti come un
fardello economico. Mai più. (Gian Antonio Stella - Il Corriere della
sera)
(9 febbraio 2012)
Dall' articolo di Stella si ricavano dati impressionanti e uno spaccato di una realtà sconosciuta alla maggioranza dei cittadini che non vivono in prima persona la triste esperienza della disabilità. Forse l'Europa, nel dedicare il 2012 all'invecchiamento attivo, doveva aggiungere l'aggettivo "combattivo", perché se non scendiamo in campo anche e soprattutto noi anziani sarà difficile vedere cambiamenti significativi.
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