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giovedì 18 ottobre 2012

I cattivi maestri, a volte, sono prodotti da cattivi alunni?

Buoni maestri
Recentemente, nel tragitto che mi porta ogni tanto in una piscina termale a Montegrotto Terme, mia moglie Giovanna,  appassionata lettrice di romanzi, di filosofia e di religione, mi propone la lettura della lettera di Seneca a Lucilio dal titolo: "La vita corre via". La legge da un libretto del 1993, che era allegato al settimanale Epoca, dal titolo: "Consigli per vivere felici". Perchè questa proposta? Perchè il nostro dentista ci ha detto, alcuni giorni fa, che venendo in ambulatorio l'aveva ascoltata per radio e gli era piaciuta.
Cattivi maestri
Mia moglie è una maestra in pensione, laureata in pedagogia con una tesi sul filosofo Leone Ebreo (filosofo, poeta e medico portoghese naturalizzato italiano), quindi abituata a leggere e a studiare opere filosofiche. Io preside in pensione, laureato in fisica ma con diploma di istituto tecnico (ai miei tempi era un'eresia iscriversi a Fisica con un simile diploma, erano prediletti i diplomati del liceo classico), mi sono occupato di filosofia ma soprattutto di epistemologia e filosofia della scienza come autodidatta.  Ho accettato volentieri, quindi, che mi leggesse la lettera di Seneca sopra citata che riporto in appendice.
Merita una particolare riflessione la conclusione: "Chi muore sereno come è nato ha conquistato la saggezza; e invece, quando il pericolo ci è vicino, abbiamo paura, il coraggio se ne va, scoloriamo in volto, versiamo lacrime inutili. Che c'è di più vergognoso dell'essere turbati proprio alle soglie della serenità? Il motivo è che siamo privi di ogni bene e soffriamo di aver sprecato la vita. Non ce n'è rimasto niente: è passata, scivolata via. Nessuno si preoccupa di vivere bene, ma di vivere a lungo; eppure tutti possono fare in modo di vivere bene, nessuno di vivere a lungo".
Dopo la lettura della lettera le chiedo notizie sulla vita di Seneca, un filosofo che ho letto solo di sfuggita. Mi legge quello che c'è scritto nell'introduzione al libretto, riporta alcuni considerazioni sulla sua vita. Una descrizione più esauriente la trovo in wikipedia.
"Lucio Anneo Seneca, in latino Lucius Annaeus Seneca, anche noto come Seneca o Seneca il giovane (Corduba (Spagna), 4 a.C. – Roma, 65), è stato un filosofo, poeta, politico e drammaturgo romano.(...)
L'opera principale della sua produzione più tarda, e la più celebre in assoluto, sono le Epistulae morales ad Lucilium, una raccolta di 124 lettere divise in 20 libri di differente estensione (fino alle dimensioni di un trattato) e di vario argomento indirizzate all'amico Lucilio (personaggio di origini modeste, proveniente dalla Campania, assurto al rango equestre e a varie cariche politico-amministrative, di buona cultura, poeta e scrittore). (...)
Dopo essere tornato da un viaggio in Egitto iniziò l'attività forense e la carriera politica (divenne dapprima questore ed entrò a far parte del Senato) godendo di una notevole fama come oratore, al punto di far ingelosire l'imperatore Caligola, che nel 39 lo voleva eliminare, soprattutto per la sua concezione politica rispettosa delle libertà civili. Si salvò grazie ai buoni uffici di una amante del princeps, la quale affermava che comunque sarebbe morto presto a causa della sua salute.
Due anni dopo, nel 41, il successore di Caligola, Claudio, lo condannò all'esilio in Corsica con l'accusa di adulterio con la giovane Giulia Livilla (figlia di Germanico), sorella di Caligola.
In Corsica Seneca restò fino al 49, quando Agrippina minore riuscì ad ottenere il suo ritorno dall'esilio e lo scelse come tutore del figlio Nerone. Secondo Tacito sarebbero tre i motivi che spinsero Agrippina a questo: l'educazione di suo figlio, attirarsi le simpatie dell'opinione pubblica (Seneca era considerato uomo di grande cultura) e avere stretti rapporti con lui per riuscire ad impadronirsi del potere.
Seneca accompagnò l'ascesa al trono del giovane Nerone (54 - 68) e lo guidò durante il suo cosiddetto "periodo del buon governo", il primo quinquennio del principato. Assunse un grande potere politico, che gli consentì di divenire estremamente ricco. (...) Progressivamente, a causa delle intemperanze del giovane imperatore, tale rapporto si deteriorò. Giustificò come il "male minore" l'esecuzione della madre di Nerone, Agrippina, nel 59, e se ne assunse tutto il peso morale. In seguito, il rapporto con l'imperatore peggiorò e temendo quindi per la propria vita Seneca si ritirò a vita privata, donando a Nerone tutti i suoi averi e dedicandosi interamente ai suoi studi e insegnamenti. Famoso il suo epistolario con Lucilio, al tempo Governatore della Sicilia, di origine pompeiana.(...)
Nerone, tuttavia, continuava a nutrire una crescente insofferenza verso Seneca. Egli non aspettava che un pretesto per eliminarlo. L'occasione venne col fallimento della congiura dei Pisoni (aprile 65) contro la sua persona, della quale Seneca forse era solamente informato, ma di cui non si sa se sia stato partecipe. Ricevette quindi l'ordine di togliersi la vita (mi ha colpito questo modo di eliminare gli avversari). Ecco una descrizione truculenta di Tacito sulla sua morte: "Si tagliò le vene, ma poiché il sangue, lento per la vecchiaia e la denutrizione, non defluiva, dovette ricorrere alla cicuta, veleno usato anche da Socrate. Tuttavia la lenta emorragia non gli permise di deglutire; così, secondo la testimonianza di Tacito, si immerse in una vasca di acqua calda per favorire la perdita di sangue e raggiungere una morte lenta e straziante, che arrivò per soffocamento.

La morte di Seneca, 1684, olio su tela di
Luca Giordano, Parigi, Museo del Louvre
Il togliersi la vita, d'altronde, fu in perfetta armonia con i principi professati dallo stoicismo di età imperiale, di cui Seneca fu uno dei maggiori esponenti: il saggio deve giovare allo stato, res publica minor, ma, piuttosto che compromettere la propria integrità morale, deve essere pronto all'extrema ratio del suicidio.
La vita non è, infatti, uno di quei beni di cui nessuno ci può privare, rientrando quindi nella categoria degli indifferenti, quelli sono solo la saggezza e la virtù; la vita è piuttosto come la ricchezza, gli onori, gli affetti: uno di quei beni, dunque, che il saggio deve essere pronto a restituire quando la sorte li chiede indietro. Seneca, perciò, affrontò l’ora fatale con la serena consapevolezza del filosofo: egli, come racconta Tacito (Annales, LXII), non potendo fare testamento, lasciò in eredità ai discepoli l’immagine della sua vita, richiamandoli alla fermezza per le loro lacrime, dato che esse erano in contrasto con gli insegnamenti che lui aveva sempre dato loro. Il vero saggio deve raggiungere infatti l’apatheia, apatia, ovvero l'imperturbabilità che lo rende impassibile di fronte ai casi della sorte.
La morte di Seneca, per di più, così eccelsa nella sua esemplarità, accomuna Seneca a Socrate, narrata nel Fedone di Platone.
Ma veniamo al titolo del post: I cattivi maestri, a volte, sono prodotti da cattivi alunni? Nel libretto si legge che l'educazione di Nerone non ha prodotto buoni risultati, come ben sappiamo dalla storia di Nerone. La vita di Nerone, anche se recentemente un po' rivalutata, è un intrecciarsi di congiure,  omicidi,  incesti,  matricidio, uxoricidio e  suicidi, compreso il suo avvenuto all'età di trentadue anni. "Sarebbe difficile e forse ingiusto - afferma il commentatore del libretto, a proposito di Seneca e del suo allievo Nerone - dare la colpa al filosofo e precettore. I cattivi maestri, a volte, sono  prodotti da cattivi alunni".
Oibò! Ho sempre pensato il contrario, cioè che cattivi maestri producano cattivi alunni. Allargando il discorso potremmo anche affermare che cattivi ministri dell'istruzione nominano cattivi direttori generali e questi a loro volta nominano cattivi dirigenti provinciali e cattivi presidi. Questi ultimi privilegiano cattivi insegnanti e, alla fine del ciclo, i cattivi docenti formano cattivi alunni. Il processo si può invertire? A mio avviso no, nel caso della scuola. Può accadere però che in alcune scuole e in alcune classi si ragruppino alunni difficili, non cattivi, che rendono l'insegnamento e la gestione della classe e/o della scuola difficoltosa.
Ma il ragionamento si può allargare alla politica? In Italia abbiamo pessimi politici perchè eletti da pessimi cittadini, o vale il contrario, cattivi cittadini eleggono  politici corrotti?
Nel viaggo d'istruzione a Venezia che ho descritto nel post precedente, clicca qui, ho intravvisto in mezzo alla folla, nelle vicinanze di San Marco, il quasi ottantenne (li porta bene) Toni Negri, vestito dimessamente, indossava un kway e aveva una borsetta di plastica in mano. Non ho fatto in tempo a fermarlo e a presentarlo agli studenti. Ho chiesto loro se sapevano chi era Toni Negri, solo Marco aveva qualche ricordo del "cattivo maestro", così lo definivano ai miei tempi e credo tuttora. Penso che avrebbe dialogato volentieri con noi, anche se eravamo degli sconosciuti. E' stato un professore universitario padovano, ex socialista, ex onorevole del partito radicale, ex fuoriuscito a Parigi ed ex carcerato (condannato per i reati di banda armata, associazione sovversiva e partecipazione, sotto il profilo del concorso morale, alla rapina di Argelato in cui morì il brigadiere dei carabinieri Andrea Lombardini, a 12 anni di reclusione). Ecco come si esprimeva Toni Negri nel 2008 a proposito dei cattivi maestri, clicca qui. 
Riporto la conclusione della sua apologia dei cattivi maestri:
Di quale cattivo maestro abbiamo bisogno oggi? Probabilmente di molti. Che si sia entrati in un mondo nuovo, infatti, nessuno dubita più. Non ci basteranno dunque tutti i cattivi maestri insieme ad orientarci, socratici, machiavellici, spinozisti, nietzscheani… No, non basta. Questa volta i cattivi maestri devono diventare moltitudine. Nessuno ha mai provato a confrontarsi con una moltitudine di uomini liberi, ed eguali, capaci di amore e forti! Noi dobbiamo provarci. Questa moltitudine di cattivi maestri è la carne del mondo che viene, è l’accesso a un età di mostri. L’indignazione, ovvero, come si disse di Socrate, la corruzione dei giovani, sono il nostro ideale morale.
Ma Toni Negri non può essere associato ai quattro filosofi a causa dei reati che ha commesso!


Ecco il testo della lettera di Lucio Anneo Seneca a Lucilio, tratta dal Libro 3,  "La vita corre via" .
Tu ormai capisci che devi tirarti fuori da queste occupazioni belle e nocive; ma chiedi come puoi farlo. Certi suggerimenti li si può dare solo di persona; il medico non può scegliere per lettera l'ora del pranzo o del bagno: deve tastare il polso. Dice un vecchio proverbio che il gladiatore decide le sue mosse nell'arena: gliele suggeriscono il volto dell'avversario, i movimenti delle mani, l'inclinazione stessa del corpo, che egli studia attentamente. Sulle consuetudini e le regole di condotta si possono rivolgere raccomandazioni sul piano generale per mezzo di qualcuno o per iscritto; consigli simili non si danno solo agli assenti, ma addirittura ai posteri; ma sul tempo o sulle modalità delle azioni nessuno può consigliare da lontano: bisogna decidere sul posto. Non basta essere presenti, bisogna avere gli occhi aperti per scorgere l'occasione propizia e fugace; devi cercare di scovarla, e se la vedi, devi coglierla al volo e mettere ogni slancio, ogni tua forza per liberarti di questi tuoi impegni. E ora ascolta bene il mio giudizio: io penso che
da una vita come questa devi uscire, oppure uscire addirittura dalla vita. Ma penso anche che non devi farlo in maniera brusca: sciogli più che spezzare quei nodi in cui ti sei malamente impigliato, e tuttavia, se non ci sarà altro modo di scioglierli, spezzali. Nessuno è tanto pavido da preferire di stare sempre in bilico, piuttosto che di cadere una volta per
tutte.  Frattanto, per prima cosa, non crearti altri impedimenti: bastano questi affari in cui ti sei cacciato o, come vorresti far credere, sei finito. Non devi cercartene altri o non avrai più scusanti: sarà chiaro che te li sei voluti. Le scuse che in genere si accampano sono pretestuose: "Non ho potuto fare diversamente. Che sarebbe accaduto se mi fossi rifiutato? Era necessario." Inseguire il successo non è indispensabile per nessuno: ma, se anche non vogliamo opporci, possiamo esercitare una resistenza passiva senza incalzare la fortuna che ci porta avanti.
Non avertela a male se i consigli non te li do io solo, ma ricorro anche ad altri, certo più saggi di me, ai quali di solito mi rivolgo, quando devo prendere una decisione. Leggi a questo proposito la lettera che Epicuro scrisse a Idomeneo: lo prega di fuggire il più in fretta possibile, prima che intervenga una forza maggiore e gli tolga la libertà di ritirarsi.  Occorre, però agire solo quando si potrà farlo in maniera adeguata, aggiunge, e al momento opportuno; ma quando si presenta l'occasione a lungo attesa, bisogna balzare su prontamente. Egli non ammette che sonnecchi chi pensa alla fuga, e pronostica un esito positivo anche nelle situazioni più difficili: basta non affrettarsi prima del tempo, e non ritirarsi al momento dell'azione. A questo punto, credo, vorrai sentire anche l'opinione degli Stoici. Nessuno può accusarli di temerità: sono più cauti che coraggiosi. Ti aspetti forse che ti dicano: "È vergognoso cedere al peso; lotta con l'impegno che hai assunto. L'uomo che fugge la fatica e non dimostra un coraggio crescente di fronte alle difficoltà non è forte e valoroso."  Ti diranno così, se vale la pena di perseverare, se non si devono compiere o sopportare azioni indegne di un uomo onesto; altrimenti egli non si logorerà in fatiche spregevoli e infamanti, né vorrà mantenere delle occupazioni solo per essere occupato. L'uomo onesto non agirà neppure come pensi tu, disposto a sopportare, impelagato nelle ambizioni, gli affanni che ne derivano. Quando vedrà che la situazione in cui si dibatte è grave, incerta e ambigua, si ritirerà senza volgere le spalle, retrocedendo a poco a poco fino a mettersi al sicuro.  È facile, caro Lucilio, sbarazzarsi degli impegni, se ne disprezzi gli utili: sono proprio questi che ci fanno indugiare e ci trattengono. "E allora? Devo abbandonare tante grandi speranze? Rinunciare proprio al momento di raccogliere i frutti? Nessuno più al mio fianco, la mia lettiga senza accompagnatori, l'atrio della mia casa deserto?" A queste miserie gli uomini rinunciano malvolentieri e mentre le disprezzano si compiacciono delle gratificazioni che danno. Si lamentano dell'ambizione come dell'amante: se guardi ai loro veri sentimenti, capisci che non lo fanno per odio, ma solo per attaccare briga. Esamina a fondo queste persone che deplorano quanto hanno desiderato e parlano di fuggire da quei beni per loro indispensabili; vedrai: indugiano volontariamente in quella situazione che dicono di sopportare a stento e con dolore. È proprio così , Lucilio: pochi sono costretti alla schiavitù, la maggior parte si vincola da sé. Ma se hai intenzione di uscirne e cerchi davvero la libertà e chiedi un rinvio solo per mettere in atto le tue decisioni serenamente, perché non dovrebbe approvarti tutta la schiera degli Stoici? Tutti, da Zenone a Crisippo, ti esorteranno alla moderazione e all'onestà. Ma se tergiversi per vedere quanto puoi portare con te e con quanto denaro puoi disporre convenientemente il tuo ritiro, non troverai mai una via d'uscita: nessuno può nuotare carico di bagagli. Elevati a una vita migliore col favore di dio, ma non quel favore che egli dimostra dispensando benignamente splendidi mali con una sola scusante: quei doni che bruciano, che tormentano, sono stati concessi su richiesta.
Già mettevo il sigillo alla lettera: ma devo riaprirla, perché ti arrivi col consueto piccolo dono e porti con sé una bella massima; me ne viene in mente una, non so se più vera o più eloquente. "Di chi è?" chiedi. Di Epicuro; ancora una volta faccio miei bagagli di altri: "Tutti escono dalla vita come se vi fossero entrati da poco. " Pensa a chi vuoi, giovani, vecchi, uomini maturi; li troverai ugualmente timorosi della morte, ugualmente ignari della vita. Nessuno ha concluso niente; rimandiamo sempre tutto al futuro. Quello che più mi piace di questa frase è che rimprovera ai vecchi di essere infantili. "Nessuno," dice, "muore diverso da come è nato." È falso: moriamo peggiori di quando siamo nati. E la colpa è nostra, non della natura. Essa ha il diritto di lamentarsi con noi: "E allora?" dice, "vi ho generato senza desiderî, senza paure, senza superstizioni, senza perfidie, senza altri mali: uscite dalla vita quali siete entrati". Chi muore sereno come è nato ha conquistato la saggezza; e invece, quando il pericolo ci è vicino, abbiamo paura, il coraggio se ne va, scoloriamo in volto, versiamo lacrime inutili. Che c'è di più vergognoso dell'essere turbati proprio alle soglie della serenità? Il motivo è che siamo privi di ogni bene e soffriamo di aver sprecato la vita. Non ce n'è rimasto niente: è passata, scivolata via. Nessuno si preoccupa di vivere bene, ma di vivere a lungo; eppure tutti possono fare in modo di vivere bene, nessuno di vivere a lungo. Stammi bene.

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