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domenica 3 luglio 2011

Informazioni farmaceutiche: farmaci brand e farmaci equivalenti

Non sempre, direi quasi mai, è facile comprendere perchè se sei esente devi pagare comunque una certa cifra per avere un farmaco. Provo a spiegarvelo con un esempio reale accaduto a me. Sono stato in farmacia con l'impegnativa del mio Medico di Medicina Generale (MMG) per prendere un farmaco che mi ha prescritto lo specialista.  Ricordo che per quel farmaco sono esonerato per patologia dal pagare il ticket. Ho pagato, per aver preso il farmaco di marca (detto anche brand o originator), 1,68 € alla confezione. Da dove risulta 1.68 € ? E' la differenza tra il costo  fissato dalla ditta che lo produce 5,50 € meno il prezzo AIFA  (Agenzia Italiana del Farmaco) di 3,62 €. Ho chiesto al farmacista quanto avrei pagato per il generico: 0,36 € - mi ha risposto. Come mai se sono esente? 0,36 € è la differenza tra il costo fissato dall'AIFA per il generico e quello della ditta che lo produce. Il generico però non ce l'aveva. Non è molto chiaro!! (si possono vedere i prezzi nel sito http://www.agenziafarmaco.gov.it/)
Che cosa sono i farmaci generici o equivalenti? Per farmaci generici o meglio equivalenti, per evitare l’idea che ci si trovi di fronte a farmaci di ‘serie B’, si intende tutta quella classe di farmaci ‘bioequivalenti’ rispetto a una specialità medicinale già autorizzata con lo stesso principio attivo, la stessa forma farmaceutica e le stesse indicazioni terapeutiche. Questo avviene perché ogni farmaco in commercio (definito brand o originator) ottiene un brevetto che, dopo un certo periodo di tempo, in genere circa 15 anni, scade. A questo punto questi farmaci possono essere prodotti liberamente da altre ditte farmaceutiche a prezzi competitivi rispetto al farmaco originale o brand. In genere il risparmio in termini di costo è dell’ordine del 30-50% rispetto al farmaco originale o brand. 

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Riporto dalla pagina web del Corriere Salute http://www.corriere.it/salute/11_giugno_30/segnalato-da-voi-farmaci-equivalenti_bbd03426-9e98-11e0-b150-aadf3d02a302.shtml la risposta di Silvio Garattini al quesito di un lettore. 
Quesito: Al posto dei farmaci che prendevo di solito, un po’ di tempo fa hanno cominciato a darmene altri, assicurandomi che erano «generici equivalenti» e costavano meno. Poi mi sono accorta che qualcosa non andava: i disturbi ricomparivano. Sono tornata ai «vecchi» farmaci e i disturbi sono spariti. Ho iniziato a farmi domande su questi «generici» e alla fine il mio medico ha ammesso: «Non sono sempre equivalenti agli originali, non tutte le case farmaceutiche li fanno come si deve, anche quando si tratta di prodotti salvavita». Servirebbero controlli seri ma, si sa, le farmaceutiche sono potenti... Che cosa devo pensare?

Risponde Silvio Garattini
Direttore Istituto Ricerche Farmacologiche, Mario Negri, Milano

Farmaci «equivalenti»: funzionano?
Farmaci «equivalenti»: funzionano?
Questa lettera riflette probabilmente il parere di molti italiani e — ahimè — anche di parecchi medici. Purtroppo il nome di farmaci generici (che deriva dalla traduzione letterale inglese) in italiano suona male perché dà l'idea di qualcosa che serve un po' per tutti i mali. Si dovrebbe parlare invece di medicinali equivalenti. Gli equivalenti sono prodotti analoghi ai farmaci di marca e possono essere prodotti quando i medicinali di marca hanno esaurito il periodo del brevetto. Devono essere commercializzati a un prezzo almeno il 20% inferiore rispetto ai prodotti di marca e devono recare il nome del principio attivo. Questo rappresenta un vantaggio perché il medico sa che cosa prescrivere e non rischia di confondersi, visto che molti prodotti di marca, ognuno con un proprio nome di «fantasia», contengono alla fine lo stesso principio attivo. I farmaci equivalenti sono messi in commercio solo dopo aver presentato una documentazione che riguarda la purezza del prodotto e la velocità di dissoluzione nel caso si tratti di compresse. Questi parametri devono essere sovrapponibili a quelli del corrispettivo prodotto con nome di fantasia.
Inoltre si devono misurare nel sangue le concentrazioni del farmaco che — pur nell'ambito della variabilità individuale — devono essere simili a quelli ottenibili con il prodotto di riferimento. Infine numerosi studi clinici — anche per i farmaci «salvavita» — hanno dimostrato che il passaggio dalla somministrazione del farmaco equivalente a quella del farmaco di marca e viceversa non comporta cambiamenti di efficacia o di tollerabilità. Non vi sono quindi ragioni per supporre che vi siano differenze significative. D'altra parte questo sembra essere un problema italiano perché in tutto il mondo e in particolare in Germania e Inghilterra il mercato dei farmaci equivalenti è almeno tre volte maggiore rispetto all'Italia.
Da dove nascono, allora, i dubbi sugli equivalenti? Soprattutto da ragioni commerciali molto evidenti. Le industrie hanno un notevole interesse ad ostacolare il diffondersi degli equivalenti, perché per mantenere la competitività dei prodotti di marca le ditte devono diminuirne il prezzo e per di più vedono erose le loro vendite dalla concorrenza. Anche i medici spesso esprimono dubbi, perché quando prescrivono un farmaco di marca, magari, in qualche caso si possono aspettare un ringraziamento da parte dell'industria che lo produce, mentre il farmaco equivalente può essere prodotto da molte industrie farmaceutiche. È molto importante che i cittadini si rendano conto del fatto che i farmaci equivalenti fanno risparmiare soldi al Servizio sanitario (nel 2010 circa 600 milioni di euro), soldi che sono stati utilizzati per coprire in parte la spesa legata a farmaci molto costosi, come quelli utilizzati per i pazienti con tumore.

30 giugno 2011 12:26

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