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domenica 6 marzo 2011

Cassazione: no a logiche mercantili e a dimissioni rapide negli ospedali

Riporto dal sito del Corriere della Sera la sentenza 8254 della quarta Sezione Penale della Corte di Cassazione.

Annullata l'assoluzione di un medico dall'accusa di omicidio colposo: «I criteri di economicità non possono prevalere sul diritto alla salute dei cittadini»


Cassazione: no a logiche mercantili e a dimissioni rapide negli ospedali
Annullata l'assoluzione di un medico dall'accusa di omicidio colposo: «I criteri di economicità non possono prevalere sul diritto alla salute dei cittadini»




MILANO - La volontà di contenere la spesa sanitaria non può prevalere sul diritto alla salute dei cittadini e le dimissioni dei pazienti dagli ospedali devono essere decise solo in base a valutazioni di ordine medico. È quando sottolinea la Cassazione nella sentenza 8254 della quarta sezione penale con cui ha annullato l'assoluzione di un medico dall'accusa di omicidio colposo di un paziente dimesso dopo 9 giorni da un intervento cardiaco, secondo le linee guida in uso nella struttura sanitaria.
NO SALVACONDOTTO - Se le linee guida in uso negli ospedali «dovessero rispondere solo a logiche mercantili», il rispetto delle stesse «a scapito dell'ammalato, non potrebbe costituire per il medico una sorta di salvacondotto, capace di metterlo al riparo da qualsiasi responsabilità, penale e civile, o anche solo morale» scrivono i giudici, aggiungendo che «sul rispetto di quelle logiche non può innestarsi un comportamento virtuoso del medico che, secondo scienza e coscienza, assuma le decisioni più opportune a tutela della salute del paziente». Secondo la Cassazione le linee guida possono «legittimamente essere ispirate anche a logiche di economicità di gestione purché non siano in contrasto con le conclamate esigenze di cura del paziente».
IL RICORSO - Con questa decisione la quarta sezione penale ha accolto il ricorso dei familiari del paziente deceduto per essere stato dimesso troppo frettolosamente, contro l'assoluzione di un medico dell'ospedale di Busto Arsizio. Lì il paziente era stato ricoverato il 9 giugno 2004 per infarto al miocardio. Sottoposto ad angioplastica con applicazione di uno spent medicato, è stato dimesso dopo 9 giorni, il 18 giugno, dal momento che risultava «asintomatico e stabilizzato». Quella stessa notte l'uomo ebbe un nuovo scompenso e arrivò in ospedale quando era già in arresto cardiocircolatorio. Se non fosse stato dimesso, ha accertato la perizia legale, sarebbe sopravvissuto grazie alle cure che avrebbe ricevuto in reparto. In primo grado il medico firmò che le dimissioni venne condannato a 8 mesi di reclusione e a risarcire i danni morali ai familiari. In appello invece fu assolto «perché il fatto non costituisce reato» in quanto il medico aveva seguito le linee guida in tema di dimissioni. Una tesi non condivisa dalla Cassazione che ha accolto il reclamo della Procura della Corte d'Appello di Milano e dei familiari. I supremi giudici criticano le linee guida obiettando che «nulla si conosce dei loro contenuti, né dell'autorità dalle quali provengono, né del loro livello di scientificità, né delle finalità che con esse si intende perseguire, né è dato di conoscere se rappresentino un'ulteriore garanzia per il paziente o se altro non sono che uno strumento per garantire l'economicità della gestione della struttura ospedaliera».
NUOVO PROCESSO - «A nessuno - prosegue la Cassazione - è consentito anteporre la logica economica alla logica della tutela della salute, né diramare direttive che, nel rispetto della prima, pongano in secondo piano le esigenze dell' ammalato». Inoltre i supremi giudici ricordano ai medici che prima di tutto devono rispondere al loro codice deontologico in base al quale hanno il dovere «di anteporre la salute del malato a qualsiasi altra diversa esigenza» e, pertanto, non sono tenuti «al rispetto di quelle direttive laddove esse siano in contrasto con le esigenze di cura del paziente, e non possono andare esenti da colpa ove se ne lascino condizionare, rinunciando al proprio compito e degradando la propria professionalità e la propria missione a livello ragionieristico». Adesso per il medico in questione si apre quindi un nuovo processo. Il paziente, oltre ad essere stato colpito da infarto, aveva un quadro clinico che consigliava prudenza in quanto era un fumatore obeso: per questo probabilmente non rientrava nei criteri statistici delle linee guida.
Redazione online
03 marzo 2011(ultima modifica: 04 marzo 2011)

Ritengo opportuno riportare anche il commento di un lettore che si firma lemene
E' più consono il rischio meditato o la tranquillità?
03.03|20:02
Non capisco come facciano ad emettere un giudizio di pratica ragioneristica, quando non si conoscono le linee di direzione e nemmeno l'esigenza di diminuire le liste d'attesa. Se il paziente era cardiopatico, fumatore ed obeso, il medico avrà valutato le componenti funzionali e, se queste erano di buona consistenza anche per un'ora, prima delle dimissioni, indubbiamente come faceva a valutare gli altri elementi, che pregiudicavano la sorte del paziente? I medici da oggi in avanti, dovranno cautelarsi quindi, mantenendo con prudenza, oltre la prudenza, ogni paziente, facendo morire quelli in attesa o urgenti? Facciamo come nei casi dove si muore per una tonsillectomia o una banale operazione? Leggendo l'articolo, lo trovo contraddittorio nei termini usati nella sentenza. Dovrò quindi aspettarmi di andare in pellegrinaggio fra gli ospedali, nel caso di un malanno grave, poiché i medici non dimetteranno più alcuno con celerità coscienziosa? Qui, più che il buon senso, vi è la corsa all'azione civile per un interesse pecuniario. Si sta andando da un sistema di strage degli ammalati, per ignoranza, al suo contrario verso i medici. Non vi è equilibrio e,a chi lo vagheggia giudicando, servirebbe un giudice superiore per giudicare il danno anche verso il giudicato e le condizioni nelle quali aveva operato con delle istituzioni di supporto che lo avevano accompagnato. lemene

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