Sul quotidiano Avvenire, di giovedì
29/11/2012, ho trovato l'articolo dal titolo: Sanità, vola la spesa privata oltre mille euro a famiglia
- Quella pubblica, complice la crisi, è invece calata rispetto al Pil
di Andrea D' Agostino (Per leggere l'articolo in formato pdf, clicca qui). Ho sottolineato la descrizione di quella che viene definita l'anomalia italiana, cioè l'out of pocket, ovvero l'aumento della spesa privata
pagata di tasca propria dai cittadini.
"La
spesa sanitaria pubblica ha subìto una battuta d'arresto, ma non solo in
Italia. Mal comune mezzo gaudio, verrebbe da dire leggendo i dati del rapporto Ocse
Health Data 2012, soprattutto dopo il messaggio allarmante del premier Mario
Monti a proposito della sostenibilità finanziaria del Servizio sanitario
nazionale. La popolazione italiana è sempre più vecchia, e i costi a breve non
basteranno, come purtroppo sta già avvenendo in diversi ospedali pubblici. E come
ha rilevato Grazia Labate, ricercatrice in Economia sanitaria dell'università britannica
di York all' ultimo workshop Ambrosetti, in tutta Europa le politiche per l'
assistenza sanitaria non riescono quasi più a coprire i costi. Labate ha citato
un recente rapporto della Economist Unit europea redatto per la Commissione
Barroso, dove si legge che «occorre mettere in campo profonde riforme di sistema»,
ma anche trovare «efficaci mix di partnership pubblico privato per far fronte,
nonostante tutte le razionalizzazioni di sistema, ai costi della cronicità e
delle cure di lunga durata che rappresentano la vera sfida per il Vecchio continente».
A livello globale, secondo l' Ocse, in quasi tutti i 34 Paesi aderenti all' organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, la spesa sanitaria, che era cresciuta del 5% nell' ultimo decennio (dal 2000 al 2009), si è poi fermata. La causa è stata determinata dalla diminuzione media della spesa pubblica pari a mezzo punto di percentuale, ed è avvenuta soprattutto in Europa, complice la grave crisi degli ultimi anni. La spesa ha continuato a crescere, invece, sia in Paesi anglosassoni come Stati Uniti, Nuova Zelanda e Canada, sia in altri come Cile e Corea del Sud dove il divario da colmare rispetto al livello di spesa del mondo industrializzato era maggiore. In Italia il calo si è attestato al 9,3% del Pil, di poco al di sotto della media Ocse che è del 9,5% (mentre per il governo, in base a un sistema diverso di calcolo rispetto a quello dell' Ocse, si attesta al 7,3% del Pil). Al contrario, la spesa privata risulta in crescita in questi ultimi anni, ed incide per il 2,7% sul Pil: per quest' anno, si attesta in media intorno al 2,5%. Nella serie storica di rilevazioni condotta dall'Eurostat negli ultimi trent'anni (1980-2010), si legge che il Paese che ha fatto registrare il maggiore incremento dell' indice è stata la Svezia, dove si è passati dal 7,5 al 18,3%, seguita dalla Spagna, passata dal 20 al 28%. In controtendenza l' Austria, la Svizzera e l' Olanda, dove c' è stata una flessione costante. Per quanto riguarda il nostro Paese, si è registrato un incremento che va dal +1,5% nel 1985 al 23,5% del 2007 fino al 29% del 2009. Ma la «vera anomalia italiana rispetto ai Paesi europei», ha spiegato Labate, è l'out of pocket, ovvero la spesa privata pagata di tasca propria dai cittadini, con una percentuale del 23%. Secondo dati Istat dell'anno scorso, la maggiore partecipazione delle famiglie alla spesa sanitaria privata si è registrata in Friuli (27%), Emilia Romagna e Piemonte (26%). A livelli più bassi si collocano tutte le Regioni del Meridione: Basilicata, Sicilia e Sardegna. Calcolata per famiglia, la spesa sanitaria privata è pari a 955 euro al Sud e a 1.265 euro al Centronord, confermando così le differenze di reddito tra le varie aree geografiche. Per quanto riguarda la temuta spending review, i tagli che mettono a rischio la tenuta del Ssn sono di circa 31 miliardi di euro entro il 2015 (dalla relazione della Corte dei Conti alle Camere sulla legge di stabilità); più del doppio dei tagli in Grecia, pari a 15 miliardi, e della Spagna dove si prevede una sforbiciata di 12 miliardi, ma anche più dell' Inghilterra, dove si stimano 20 miliardi di sterline in meno al settore. Alla fine, i sistemi sanitari europei che hanno retto meglio all' impatto della crisi sono numerosi: Francia, Germania, Belgio, Olanda, Svizzera, Gran Bretagna e alcuni Paesi scandinavi (Danimarca, Norvegia e Svezia): ovvero quelli sostenuti da assicurazioni sociali e complementari, mutualità o da assicurazioni private obbligatorie, ma anche a fiscalità generale elevata, con basso tasso di evasione e corruzione, non in fase recessiva. Cosa fare in Italia? Secondo Labate, va portato innanzitutto a termine «il processo che abbiamo avviato, con i primi tentativi di dare un' ossatura, all' avvio del secondo pilastro, con i decreti Turco del 2008 e Sacconi del 2009, superando ipocrisie e difese ideologiche di un astratto universalismo che vede un Paese spaccato in due sul terreno della salute, ancora prima di definire quali Lea (livelli essenziali di assistenza) sono il riferimento attuale e quali bisogni assistenziali costituiscono la priorità di un Paese che invecchia»".
A livello globale, secondo l' Ocse, in quasi tutti i 34 Paesi aderenti all' organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, la spesa sanitaria, che era cresciuta del 5% nell' ultimo decennio (dal 2000 al 2009), si è poi fermata. La causa è stata determinata dalla diminuzione media della spesa pubblica pari a mezzo punto di percentuale, ed è avvenuta soprattutto in Europa, complice la grave crisi degli ultimi anni. La spesa ha continuato a crescere, invece, sia in Paesi anglosassoni come Stati Uniti, Nuova Zelanda e Canada, sia in altri come Cile e Corea del Sud dove il divario da colmare rispetto al livello di spesa del mondo industrializzato era maggiore. In Italia il calo si è attestato al 9,3% del Pil, di poco al di sotto della media Ocse che è del 9,5% (mentre per il governo, in base a un sistema diverso di calcolo rispetto a quello dell' Ocse, si attesta al 7,3% del Pil). Al contrario, la spesa privata risulta in crescita in questi ultimi anni, ed incide per il 2,7% sul Pil: per quest' anno, si attesta in media intorno al 2,5%. Nella serie storica di rilevazioni condotta dall'Eurostat negli ultimi trent'anni (1980-2010), si legge che il Paese che ha fatto registrare il maggiore incremento dell' indice è stata la Svezia, dove si è passati dal 7,5 al 18,3%, seguita dalla Spagna, passata dal 20 al 28%. In controtendenza l' Austria, la Svizzera e l' Olanda, dove c' è stata una flessione costante. Per quanto riguarda il nostro Paese, si è registrato un incremento che va dal +1,5% nel 1985 al 23,5% del 2007 fino al 29% del 2009. Ma la «vera anomalia italiana rispetto ai Paesi europei», ha spiegato Labate, è l'out of pocket, ovvero la spesa privata pagata di tasca propria dai cittadini, con una percentuale del 23%. Secondo dati Istat dell'anno scorso, la maggiore partecipazione delle famiglie alla spesa sanitaria privata si è registrata in Friuli (27%), Emilia Romagna e Piemonte (26%). A livelli più bassi si collocano tutte le Regioni del Meridione: Basilicata, Sicilia e Sardegna. Calcolata per famiglia, la spesa sanitaria privata è pari a 955 euro al Sud e a 1.265 euro al Centronord, confermando così le differenze di reddito tra le varie aree geografiche. Per quanto riguarda la temuta spending review, i tagli che mettono a rischio la tenuta del Ssn sono di circa 31 miliardi di euro entro il 2015 (dalla relazione della Corte dei Conti alle Camere sulla legge di stabilità); più del doppio dei tagli in Grecia, pari a 15 miliardi, e della Spagna dove si prevede una sforbiciata di 12 miliardi, ma anche più dell' Inghilterra, dove si stimano 20 miliardi di sterline in meno al settore. Alla fine, i sistemi sanitari europei che hanno retto meglio all' impatto della crisi sono numerosi: Francia, Germania, Belgio, Olanda, Svizzera, Gran Bretagna e alcuni Paesi scandinavi (Danimarca, Norvegia e Svezia): ovvero quelli sostenuti da assicurazioni sociali e complementari, mutualità o da assicurazioni private obbligatorie, ma anche a fiscalità generale elevata, con basso tasso di evasione e corruzione, non in fase recessiva. Cosa fare in Italia? Secondo Labate, va portato innanzitutto a termine «il processo che abbiamo avviato, con i primi tentativi di dare un' ossatura, all' avvio del secondo pilastro, con i decreti Turco del 2008 e Sacconi del 2009, superando ipocrisie e difese ideologiche di un astratto universalismo che vede un Paese spaccato in due sul terreno della salute, ancora prima di definire quali Lea (livelli essenziali di assistenza) sono il riferimento attuale e quali bisogni assistenziali costituiscono la priorità di un Paese che invecchia»".
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