Che
nel terzo settore ci sia necessità di trasparenza lo sostengo da tempo, da
quando faccio il volontario, perché il giro di denaro è enorme. Si calcola
infatti che nel mondo l'insieme di attività che appartengono al Terzo settore
(organizzazioni non governative, onlus, fondazioni, enti caritativi, enti
umanitari, cooperative) valgano annualmente 400 miliardi di dollari. Sono soldi
dei cittadini e ai cittadini si deve rendere conto di come vengono spesi. In
particolare ai volontari, persone che lavorano nel sociale gratuitamente e con
generosità, spetta il compito di controllare che nella propria organizzazione ci
sia trasparenza.
L'occasione
di questo post è scaturita dall'aver visto, il 20 marzo 2012, una puntata della trasmissione televisiva
di Corrado Augias "Le Storie-diario italiano". E' stato presentato da Augias, presente l'autrice, il libro "L'industria della carità. Da storie e
testimonianze inedite il volto nascosto della beneficenza" di
Valentina Furlanetto, Editore: Chiarelettere (collana Principioattivo).
Valentina
Furlanetto è giornalista, nata il 14 aprile 1972 a Montebelluna (Tv) ma vive in
Lombardia. Dopo la laurea in Lettere all’Università Ca’ Foscari di Venezia e
una lunga esperienza di studio e lavoro in Gran Bretagna, frequenta l’Ifg di
Urbino e, in seguito, inizia a lavorare nella redazione di «Uomini &
Business» e per «Affari e Finanza» de «la Repubblica» con Giuseppe Turani. Da
oltre dieci anni fa parte della redazione di Radio 24 – Il Sole 24 Ore,
occupandosi prevalentemente di economia e temi sociali per i giornali radio.
Riporto la sinossi del libro (da la Feltrinelli.it).
"Questo libro racconta un mondo, quello
della solidarietà, di cui non si sa abbastanza. Tra sms che salvano, adozioni a
distanza, partite del cuore, campagne televisive, azalee e arance benefiche,
quanti milioni di euro raccolti arrivano a chi ha bisogno? La risposta che
viene fuori dalle testimonianze di cooperanti italiani e internazionali e dai
più recenti dati di bilancio (quando sono disponibili: in Italia non c'è
l'obbligo di pubblicare un vero e proprio bilancio economico-finanziario) è che
tra profit e non profit c'è ormai poca differenza. Migliaia di associazioni
sono in lotta una contro l'altra per i fondi, quelle più grandi spendono
milioni per promuoversi e farsi conoscere, intanto le più piccole sono
schiacciate dalla concorrenza. Gli stipendi dei manager del settore non profit
sono ormai uguali a quelli delle multinazionali (la buonuscita milionaria di
Irene Khan, ex segretario generale di Amnesty International, è solo la punta
dell'iceberg). Ma i soldi non sono che una parte della questione, c'è molto
altro da sapere. Che fine fanno i vestiti che lasciamo ai poveri? Come funziona
il sistema delle adozioni internazionali? E il commercio equo e solidale? La
filantropia ha fatto cose importanti, ma è anche il simbolo del fallimento
della politica. Gli esseri umani non dovrebbero dipendere dalla generosità di
altri. Se poi questa generosità diventa un business è importante raccontarlo
per impedire che qualcuno si arricchisca sulla buona fede dei donatori".
Nella prefazione
al libro, a cura del missionario comboniano Alex Zanotelli, si legge: Questo mi addolora molto perché invece gli
italiani sono un popolo generoso. Non ho mai incontrato un popolo così vivace
nell’associazionismo, così disposto a donare e a dare una mano a gli altri. La
generosità però non deve servire a scaricarci la coscienza. Dobbiamo infatti
controllare chi sono i finanziatori delle associazioni e dove vanno a finire i
soldi.(…) "Basta con la carità,
c’è bisogno di giustizia. È assurdo un mondo come il nostro, dove c’è così tanta
ricchezza mal spartita. Un mondo dove il 20 per cento della popolazione consuma
l’80 per cento delle risorse è un sistema di apartheid che produce un miliardo
di obesi fra i ricchi e un miliardo di affamati fra i poveri".
In
un articolo di presentazione del libro dal titolo "Il
nuovo business della beneficenza", apparso su Repubblica del 7 gennaio
2013, a cura di Vladimiro Polchi si legge: "Anche in Italia, il Terzo settore è lievitato negli ultimi quarant'
anni. Negli anni Sessanta le ong italiane (che rappresentano solo una piccola
fetta del Terzo settore) non arrivavano a una ventina. Oggi quelle riconosciute
ufficialmente sono 248, si interessano di 3.000 progetti in 84 Paesi del mondo,
occupano 5.500 persone e gestiscono 350 milioni di euro l' anno. A leggere i
bilanci, le prime dieci ong italiane sono Medici senza frontiere (50 milioni di
euro); ActionAid (48 milioni); Save the Children (45 milioni); Coopi
(Cooperazione internazionale, 35 milioni); Cesvi (Cooperazione e sviluppo, 33
milioni); Emergency (30 milioni); Avsi (Associazione volontari per il servizio internazionale,
28 milioni); Intersos (18 milioni); Cisp (Comitato internazionale per lo
sviluppo dei popoli, 16 milioni); Vis (Volontariato internazionale per lo
sviluppo, 16 milioni)".(…)
Ci sono poi gli scandali internazionali: «Il
66 per cento di tutte le donazioni che sono state fatte nel mondo - denuncia
Evel Fanfan, presidente di Aumohd, organizzazione di avvocati che dal 2002 si
occupa dei diritti umani della popolazione di Haiti - non sono state investite
per la gente di Haiti, ma per il funzionamento delle ong. Alcune hanno comprato
fuoristrada da 40-50.000 dollari e il 20 per cento delle donazioni è andato in
stipendi del personale delle organizzazioni». C' è poi l' ossimoro dell'
emergenza perenne: nella regione del Sahel (Sahara) dal 1973 a oggi sono stati
investiti in aiuti diretti e indiretti oltre 300 miliardi di dollari, eppure
nel 2012 c' erano ancora 18 milioni di persone bisognose di aiuto".
Repubblica
è ritornata sull'argomento organizzando un confronto diretto fra Valentina
Furlanetto, autrice del libro e due rappresentanti l'universo della
Cooperazione: Gianni Rufini, esperto
di emergenze umanitarie, con un lungo passato in missioni in tutto il mondo, docente
in diverse università italiane e straniere; e Francesco Petrelli, responsabile
relazioni istituzionali per Oxfam Italia, ex presidente dell'Associazione delle
Ong italiane.
Il
confronto è stato riportato nell'articolo dal titolo C'è
o non c'è "L'industria della carità"? Il confronto (aspro) continua
di Carlo Ciavoni.
Il
libro ha suscitato molte reazioni, soprattutto da parte delle organizzazioni citate
dall'autrice; ne riporto alcune.
La risposta di Konstantinos
Moschochoritis, direttore Generale di Medici Senza Frontiere Italia.
La risposta di Andrea
Pinchera, direttore Comunicazione e
Raccolta Fondi di Greenpeace.
Zamagni:
«L'industia della carità? Un libro scritto sul niente» di Mattia Schieppati
su Vita.it
Mi ha colpito la seguente affermazione di Zamagni: «gioca a fare del sensazionalismo ingigantendo
quel pochissimo che non va a scapito del tantissimo che invece va,
e che ne esce mediaticamente con le ossa rotte, perché è più facile vendere
copie col male, che col bene».
Si veda anche "La
lettera aperta ad Alex Zanotelli" del
Consiglio Direttivo di AGICES (Assemblea Generale Italiana del Commercio
Equo e Solidale).
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