Vicino a dove abito sono sorti una trentina di orti urbani. Osservo con piacere, dalla mia stanza, persone di tutte le età, alcuni in pensione altri ancora in servizio, a volte accompagnate dai familiari e dagli amici, che si recano negli orti con zappe, badili, rastrelli, concimi, sementi e piantine. Ogni orto, trenta metri quadri, viene personalizzato dal proprietario ed è sorprendente vedere la varietà di ortaggi coltivati.
Mirian, volontaria IASI-Pronto Anziano, mi scrive questa bellissima
riflessione sugli orti urbani.
Michelle Obama e l'orto della Casa Bianca |
Carissimo, ho ricevuto il PdZ (Piano di Zona dell'ULSS 16) e mi riprometto di leggerlo con la dovuta calma (ho dato
solo una veloce occhiatina).
Non so se ti può essere d'aiuto, ma desidero farti partecipe di una riflessione che alcune amiche ed io facevamo tempo fa, imperniata sull'utilizzo antropologico degli orti sociali come strumento di riscatto, riabilitazione e collocamento sociale. Il tutto è partito da un articolo apparso su Focus di questo mese dove si legge che immersi nel mondo agricolo si sta meglio. L'articolo parla principalmente di cambiamento di stile di vita in favore di un trasferimento in campagna, ma fa anche dei rimandi agli orti urbani ed al loro valore sia sociale che economico. Gli anziani attualmente presenti nel nostro territorio hanno ancora radici rurali, molti hanno calzato le "sgalmare" (zoccoli) da piccoli, altri han vissuto per molto tempo con un gallo come orologio, pertanto il recuperare questa memoria terrena (nel senso di legame tangibile con la materia) per alcuni di loro potrebbe rivelarsi di vitale importanza. Vitale perchè attinge ad un'energia sopita che ridà vigore ed interesse alle cose, risveglia una memoria atavica che valorizza le azioni. Il mio lavoro allo sportello mi porta a parlare tutti i giorni con anziani e vedo l'occhio che diventa vispo di quell'ottantenne quando mi parla delle verze tardive che ha seminato in autunno, protetto dalla pioggia/neve invernale e ora le libera alle leggere gelate primaverili che ne ammorbidiscono il gusto senza rompere la fibra, per contro vedo l'occhio vitreo della nonnina che è stata richiusa (si è espressa proprio così) in un appartamento quando i figli han deciso che aveva bisogno di un luogo sicuro, col riscaldamento e comodo alle loro case. Sono quasi sicura che se alla nonnina venisse data la possibilità di coltivare un orto, prendersi cura delle sue insalate e verze, anche il suo occhio perderebbe la patina della noia, le sue ossa non si sfalderebbero perchè avrebbero ancora un po' di sostegno muscolare ed anche il suo pensiero spazierebbe oltre lo schermo della tv accesa per illudersi di aver qualcuno vicino. Senza contare che ogni orto potrebbe essere dato in gestione congiunta a due o più nonnine... Questi pensieri potrebbero sembrarti annacquati da un pensiero bucolico, quasi una ingenua rilettura di una realtà invece complessa e complicata, d'altro canto convengo che gli orti sociali affidati agli anziani non siano la panacea a tutti i mali legati alla senilità, in ogni caso io sono dell'idea che possano offrire un sostegno al miglioramento della qualità di vita.
Suppongo si trovino pubblicati studi e relazioni sull'argomento perchè vedo che è un tema di cui se ne parla sempre di più. Salutissimi. Miriam
Non so se ti può essere d'aiuto, ma desidero farti partecipe di una riflessione che alcune amiche ed io facevamo tempo fa, imperniata sull'utilizzo antropologico degli orti sociali come strumento di riscatto, riabilitazione e collocamento sociale. Il tutto è partito da un articolo apparso su Focus di questo mese dove si legge che immersi nel mondo agricolo si sta meglio. L'articolo parla principalmente di cambiamento di stile di vita in favore di un trasferimento in campagna, ma fa anche dei rimandi agli orti urbani ed al loro valore sia sociale che economico. Gli anziani attualmente presenti nel nostro territorio hanno ancora radici rurali, molti hanno calzato le "sgalmare" (zoccoli) da piccoli, altri han vissuto per molto tempo con un gallo come orologio, pertanto il recuperare questa memoria terrena (nel senso di legame tangibile con la materia) per alcuni di loro potrebbe rivelarsi di vitale importanza. Vitale perchè attinge ad un'energia sopita che ridà vigore ed interesse alle cose, risveglia una memoria atavica che valorizza le azioni. Il mio lavoro allo sportello mi porta a parlare tutti i giorni con anziani e vedo l'occhio che diventa vispo di quell'ottantenne quando mi parla delle verze tardive che ha seminato in autunno, protetto dalla pioggia/neve invernale e ora le libera alle leggere gelate primaverili che ne ammorbidiscono il gusto senza rompere la fibra, per contro vedo l'occhio vitreo della nonnina che è stata richiusa (si è espressa proprio così) in un appartamento quando i figli han deciso che aveva bisogno di un luogo sicuro, col riscaldamento e comodo alle loro case. Sono quasi sicura che se alla nonnina venisse data la possibilità di coltivare un orto, prendersi cura delle sue insalate e verze, anche il suo occhio perderebbe la patina della noia, le sue ossa non si sfalderebbero perchè avrebbero ancora un po' di sostegno muscolare ed anche il suo pensiero spazierebbe oltre lo schermo della tv accesa per illudersi di aver qualcuno vicino. Senza contare che ogni orto potrebbe essere dato in gestione congiunta a due o più nonnine... Questi pensieri potrebbero sembrarti annacquati da un pensiero bucolico, quasi una ingenua rilettura di una realtà invece complessa e complicata, d'altro canto convengo che gli orti sociali affidati agli anziani non siano la panacea a tutti i mali legati alla senilità, in ogni caso io sono dell'idea che possano offrire un sostegno al miglioramento della qualità di vita.
Suppongo si trovino pubblicati studi e relazioni sull'argomento perchè vedo che è un tema di cui se ne parla sempre di più. Salutissimi. Miriam
Per approfondire
Trovo su Corriere.it, Orto
e Mezzo, un nuovo video blog dedicato a chi coltiva la terra in città.
Trovo su Focus
Gli
orti urbani Sono spazi verdi coltivabili ai margini delle città. Non
appartengono a chi li coltiva ma in genere alle municipalità, che li assegnano
a coltivatori non professionisti che ne fanno richiesta. Gli orti urbani hanno
una storia che comincia a fine Ottocento con i francesi jardins ouvriers
(giardini operai), promossi da Jules Lemire, prete e deputato riformista.
Alla moda
Gli
orti a ridosso delle città sono stati a lungo considerati antiestetici secondo
i canoni urbanistici, e comunque retaggio di una dimensione paesana, luoghi da
destinare solo al tempo libero degli anziani. Negli ultimi anni, però, in tutte
le città europee e nordamericane il numero delle persone che vogliono coltivare
un orto è andato via via crescendo. Giovani, donne, impiegati e professionisti
si sono sostituiti a pensionati e operai. Spesso gli orti vengono coltivati in
forma collettiva, come giardino comunitario. A Milano è nata addirittura una
rete, quella delle Libere rape metropolitane, che raccoglie tutti gli orti e le
realtà di verde spontaneo e “partecipato”.
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