La
settimana dall'11 al 17 marzo è stata dedicata al cervello. Durante
questa settimana la Clinica neurologica di Padova ha promosso diverse
iniziative per avvicinare il mondo delle neuroscienze al grande pubblico (vedi). Numerosi articoli sono stati pubblicati in merito. Copio e incollo dal sito della
Fondazione Veronesi quello di Serena Zoli dal titolo, forse troppo
ottimistico: Con
la diagnosi precoce fermi l’Alzheimer.
Comincia la «settimana del
cervello» che mobilita i neurologi di tutto il mondo per far sapere che oggi si
riescono a individuare le malattie degenerative cerebrali molto prima dei
sintomi esterni. E in questa fase le cure si dimostrano utili. Da oggi a domenica 17 marzo “settimana
del cervello” in tutto il mondo. Sette giorni dedicati a informare il pubblico
su problemi e progressi della medicina del nostro organo più delicato e più
complesso. In Italia a promuovere iniziative
di vario genere è la Società italiana di neurologia (Sin), presieduta dal professor
Giancarlo Comi del San Raffaele di Milano. «Abbiamo scelto di puntare sul
messaggio che le diagnosi precoci sono, oggi, importanti anche in questo
campo», spiega Comi. «Infatti oggi per la
prima volta è possibile trattare precocemente le malattie degenerative del
cervello con vari esiti. Perché quando il loro decorso è scattato, siamo in
fase di malattia conclamata, il decorso di Alzheimer e Parkinson è
inarrestabile. Non si modifica, evolve comunque».
FASE PRECLINICA - Le stesse
medicine ora in uso inutilmente, continua il professore, perché quasi sempre
prescritte quando la malattia è manifesta, se somministrate in fase preclinica
si sono dimostrate efficaci. Quando cioè il malato non presenta ancora sintomi.
Ma di quali malattie del cervello è oggi possibile fare una diagnosi precoce? «Nella
Sclerosi multipla, nella malattia di Alzheimer, nella malattia Corea di
Huntington e nel morbo di Parkinson. Ci sono esami specifici per cogliere
dentro il cervello segnali premonitori, soprattutto esami con neuroimmagini».
Quale metodo si usa per ciascuna di queste malattie degenerative? E che cosa si
“vede”? «Per l’Alzheimer oggi è possibile
vedere con il Pib, un marcatore radioattivo dell’amiloide, e attraverso la
Pet (tomografia a emissione di positroni), i depositi di questa sostanza
nel cervello già in fase pre-clinica. Per la Corea di Huntingon, che è un
malattia a carattere familiare, la diagnosi precoce si fa su base genetica e
l’individuazione delle persone che svilupperanno la malattia può dare il via a
un programma di intervento anni prima che la malattia si manifesti. Un
programma specifico di ricerca in questo ambito è in corso in Nord America».SINTOMI RIVELATORI - «Per il Parkinson i disturbi olfattivi (“cacosmia”: sentire odori strani, cattivi o riduzione dell’olfatto) possono precedere di molto tempo la comparsa della malattia. Inoltre per tutte le patologie sopra indicate sono in corso studi genetici che potrebbero consentire di individuare presto le persone a maggiore rischio. Per quanto concerne poi la Sclerosi Multipla sono già in corso interventi preventivi che si basano sulla somministrazione di vitamina D in chi risulta essere carente. Altro fattore di rischio è considerato l’essere un familiare di una persona con la sclerosi. E la risonanza magnetica può evidenziare la presenza di placche riferibili alla sclerosi multipla anche prima che la malattia si manifesti con un disturbo clinico».
DAI 55 ANNI IN SU - La sclerosi multipla può dare anche “attacchi” isolati molto tempo prima che inizi la fase degenerativa, la fase “clinica”? «Sì, questi attacchi sono indicatori precocissimi. Può trattarsi di offuscamento della vista, dolore a muovere gli occhi, blocchi motori, particolare formicoli agli arti o al viso. E proprio per la sclerosi oggi possiamo constatare risultati incoraggianti dalla terapia precoce. A distanza di 5 anni, un quarto dei pazienti non ha più avuto nulla. Altri, in numeri significativi, a 10 anni di distanza. Guariti? Eh, per dire questo dobbiamo aspettare tutto il possibile decorso della sclerosi, tra vent’anni…». Quali segnali devono spingere a cercare una diagnosi precoce – che si fa anche con sistemi sofisticati e costosi quale la Pet - una persona? E a che età? «Diciamo dai 55 anni in su per cogliere l’eventuale fase preclinica. Quanto ai segnali, per l’Alzheimer può trattarsi di perdite di memoria, ma bisogna controllare con esami specifici se sono indizi del male o dovuti al normale invecchiamento. Per il resto, non ci sono segnali che possono allarmare il pubblico. Solo, se si è familiari di persone con la malattia, è opportuno un’adeguata valutazione genetica da parte di un medico genetista per determinare il rischio individuale. E vedere se è il caso di intervenire. Time is brain! Il tempo è cervello, anche per un ictus è preziosissimo l’intervento più precoce possibile».
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